Le teorie psicodinamiche considerano gli attacchi di panico come la conseguenza dell'insuccesso di una difesa nei confronti di impulsi che provocano ansia.
Quella che inizialmente era una modesta ansia di segnalazione diviene una sensazione opprimente di apprensione, associata a sintomi somatici.
Nell'agorafobia, ad esempio, le teorie psicodinamiche mettono in rilievo la perdita di un genitore in età pediatrica e una storia di ansia di separazione.
Il trovarsi solo in luoghi pubblici ravviva l'ansia infantile del sentirsi abbandonato.
I meccanismi di difesa utilizzati comprendono la repressione, lo spostamento, l'evitamento e la simbolizzazione.
Le separazioni traumatiche durante l'età pediatrica possono influenzare lo sviluppo del sistema nervoso del bambino, che di conseguenza diviene suscettibile all'ansia una volta adulto.
Molti pazienti descrivono gli attacchi di panico come se comparissero dal nulla, quasi che fattori psicologici non fossero coinvolti, ma l'esplorazione psicodinamica spesso rivela un evidente movente psicologico.
Sebbene gli attacchi di panico siano correlati dal punto di vista neurofisiologico con il locus coeruleus, l'esordio del panico è infatti di solito correlato a fattori ambientali o psicologici.
I soggetti con disturbo di panico hanno una maggiore incidenza di eventi stressanti della vita, in particolare perdite nei mesi precedenti l'inizio del disturbo di panico.
Inoltre, i pazienti tipicamente provano un maggiore tormento nei confronti degli eventi della vita rispetto a chi non soffre di tale disturbo.
Le ricerche indicano che la causa degli attacchi coinvolge probabilmente il significato inconscio degli eventi stressanti e che la loro patogenesi può essere correlata a fattori neuropsicologici scatenati dalle reazioni psicologiche.
Gli psicoterapeuti psicodinamici dovrebbero sempre effettuare una ricerca completa dei possibili fattori scatenanti ogni volta che eseguono una valutazione diagnostica su un paziente con disturbo di panico.
Sito di aggiornamento su temi di psicoterapia, psicopatologia e psichiatria. Curato dal dr. Francesco Giubbolini Neuropsichiatra e psicoterapeuta con studio a Siena.
lunedì 29 ottobre 2018
sabato 27 ottobre 2018
Odori, sonno e fobie - Affrontare le paure mentre si dorme
Ricercatori statunitensi sostengono che gli odori possano essere usati per ridurre la paura - mentre si dorme.
In sintesi: le persone vengono "condizionate" ad associare due diverse immagini, a loro volta associate ad odori diversi, con la paura. Durante il sonno sono esposti ad uno di tali odori. Quando si svegliano risultano essere meno spaventati dall'immagine collegata a quello specifico odore.
Un esperto inglese ha elogiato lo studio, apparso su "Nature Neuroscience", ed ha sostenuto che potrebbe risultare utile nel trattamento delle fobie e, forse, persino del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).
Le persone sofferenti di fobie vengono già comunemente trattate con una "esposizione graduale" agli stimoli ansiogeni quando si trovano nello stato di veglia; questo studio suggerisce la possibilità che il medesimo trattamento possa essere praticato quando si trovano nella condizione di sonno ad onde lente. Questo è il periodo del sonno più profondo, laddove si ritiene che i ricordi, in particolare quelli legati alle emozioni, vengano elaborati.
I ricercatori hanno mostrato a 15 persone sane immagini di due diversi volti.
Contemporaneamente, è stata loro somministrata una scarica elettrica di lieve intensità. Sono stati contemporaneamente esposti ad uno specifico odore, quale limone, menta, garofano o legno.
L'esperimento è stato poi completato durante il sonno. Mentre si trovavano nella condizione di sonno profondo i pazienti venivano nuovamente esposti all'odore collegato ad una delle due immagini che erano state loro mostrate. Successivamente, una volta svegli, venivano loro nuovamente proposte le due immagini, questa volta senza odori né stimolazione elettrica.
I pazienti mostravano meno paura quando veniva loro nuovamente mostrata l'immagine collegata all'odore che avevano sentito mentre dormivano rispetto all'altra.
Le loro risposte emotive sono state "misurate" attraverso scansioni cerebrali magnetico nucleari ed attraverso il livello di sudorazione cutanea. Nelle scansioni cerebrali erano evidenti cambiamenti nelle aree della memoria, come l'ippocampo, e nei patterns dell'attività cerebrale nelle regioni associate alle emozioni, come l'amigdala.
Le persone coinvolte nell'esperimento si erano trovate nella condizione di sonno profondo per periodi variabili tra 5 e 40 minuti, e l'effetto risultava maggiormente evidente in coloro che avevano dormito più a lungo.
La Dr.ssa Katherina Hauner (North Western University Feinberg School of Medecine, di Chicago), che ha condotto lo studio, ha detto: "Si tratta di un riscontro nuovo. Abbiamo mostrato una piccola ma significativa riduzione della paura".
"Se questo riscontro potesse essere considerato valido anche relativamente ad una paura pre-esistente (e non solo a quella sperimentalmente indotta), il trattamento terapeutico delle fobie potrebbe essere reso più efficace con l'intervento durante il sonno."
La ricercatrice ha anche affermato che l'area delle fobie è quella più ovvia da considerare come "bersaglio" di tale tipo di intervento, poiché gli obiettivi su cui intervenire sono relativamente semplici, almeno rispetto a quelli del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Ed ha concluso che ulteriori ricerche si renderanno necessarie al fine di poter compiutamente comprendere i risultati che tale tipo di intervento potrebbe avere.
articolo originale: BBC Health News
In sintesi: le persone vengono "condizionate" ad associare due diverse immagini, a loro volta associate ad odori diversi, con la paura. Durante il sonno sono esposti ad uno di tali odori. Quando si svegliano risultano essere meno spaventati dall'immagine collegata a quello specifico odore.
Un esperto inglese ha elogiato lo studio, apparso su "Nature Neuroscience", ed ha sostenuto che potrebbe risultare utile nel trattamento delle fobie e, forse, persino del Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).
Le persone sofferenti di fobie vengono già comunemente trattate con una "esposizione graduale" agli stimoli ansiogeni quando si trovano nello stato di veglia; questo studio suggerisce la possibilità che il medesimo trattamento possa essere praticato quando si trovano nella condizione di sonno ad onde lente. Questo è il periodo del sonno più profondo, laddove si ritiene che i ricordi, in particolare quelli legati alle emozioni, vengano elaborati.
I ricercatori hanno mostrato a 15 persone sane immagini di due diversi volti.
Contemporaneamente, è stata loro somministrata una scarica elettrica di lieve intensità. Sono stati contemporaneamente esposti ad uno specifico odore, quale limone, menta, garofano o legno.
L'esperimento è stato poi completato durante il sonno. Mentre si trovavano nella condizione di sonno profondo i pazienti venivano nuovamente esposti all'odore collegato ad una delle due immagini che erano state loro mostrate. Successivamente, una volta svegli, venivano loro nuovamente proposte le due immagini, questa volta senza odori né stimolazione elettrica.
I pazienti mostravano meno paura quando veniva loro nuovamente mostrata l'immagine collegata all'odore che avevano sentito mentre dormivano rispetto all'altra.
Le loro risposte emotive sono state "misurate" attraverso scansioni cerebrali magnetico nucleari ed attraverso il livello di sudorazione cutanea. Nelle scansioni cerebrali erano evidenti cambiamenti nelle aree della memoria, come l'ippocampo, e nei patterns dell'attività cerebrale nelle regioni associate alle emozioni, come l'amigdala.
Le persone coinvolte nell'esperimento si erano trovate nella condizione di sonno profondo per periodi variabili tra 5 e 40 minuti, e l'effetto risultava maggiormente evidente in coloro che avevano dormito più a lungo.
La Dr.ssa Katherina Hauner (North Western University Feinberg School of Medecine, di Chicago), che ha condotto lo studio, ha detto: "Si tratta di un riscontro nuovo. Abbiamo mostrato una piccola ma significativa riduzione della paura".
"Se questo riscontro potesse essere considerato valido anche relativamente ad una paura pre-esistente (e non solo a quella sperimentalmente indotta), il trattamento terapeutico delle fobie potrebbe essere reso più efficace con l'intervento durante il sonno."
La ricercatrice ha anche affermato che l'area delle fobie è quella più ovvia da considerare come "bersaglio" di tale tipo di intervento, poiché gli obiettivi su cui intervenire sono relativamente semplici, almeno rispetto a quelli del Disturbo Post-Traumatico da Stress.
Ed ha concluso che ulteriori ricerche si renderanno necessarie al fine di poter compiutamente comprendere i risultati che tale tipo di intervento potrebbe avere.
articolo originale: BBC Health News
giovedì 25 ottobre 2018
Definizione di Fobia - Cosa vuol dire "Fobia"
La Fobia è il timore irrazionale e invincibile per oggetti o specifiche situazioni che, secondo il buon senso, non dovrebbero provocare timore.
Tali sono la paura per spazi aperti (agorafobia), per quelli chiusi (claustrofobia), la paura di arrossire (eritrofobia), la paura dello sporco (rupofobia), la paura delle malattie (patofobia, vedi il post su: ipocondria), ecc.
La fobia si distingue dalla paura perché, a differenza di quest'ultima, non scompare di fronte a una verifica della realtà, e al tempo stesso va tenuta distinta dal delirio perché il fobico è perfettamente consapevole dell'irrazionalità dei suoi timori che tuttavia non riesce a risolvere.
Un tempo la psichiatria dinamica trattava unitariamente la fobia e l'ossessione; oggi si tende a differenziare le due figure perché, come precisa G. Jervis, «la fobia è il tentativo di costruire una difesa contro la propria ansia allontanandone ostinatamente l'occasione di manifestarsi con uno scongiurante e precipitoso atteggiamento di rifiuto che non fa che evocarne continuamente il fantasma; la difesa ossessiva è invece il tentativo di costruire una serie di barriere magiche fra sé e l'ansia, un labirinto di scongiuri, una struttura di comportamenti meticolosamente controllati, utili per allontanare all'infinito il momento del non-controllo, il rischio della crisi» (Jervis, 1975).
Le fobie sono cariche di significati simbolici nel senso che le cose o le persone o le situazioni temute dal soggetto rinviano in un modo più o meno deformato o a una pulsione repressa, o a una punizione per l'impulso inconscio e inaccettato, o a una combinazione delle due.
La condizione fobica rivela solitamente una condizione di dipendenza infantile e quindi di non raggiunta autonomia che si manifesta nella paura di agire e quindi nell'immobilismo.
Così il timore di luoghi aperti o di allontanarsi dall'ambiente noto (agorafobia) manifesta una situazione psicologica di insicurezza da far risalire a una condizione di dipendenza dalla famiglia e a sensi di colpa riguardanti la propria autonomia.
Allo stesso modo la fobia dello sporco (rupofobia) può nascondere il terrore del sesso, dello sperma e della gravidanza o inconfessabili sentimenti di colpa.
Le interpretazioni patogenetiche della fobia più accettate sono quella psicoanalitica e quella comportamentista.
Per la psicoanalisi, la fobia è il prodotto dei meccanismi di difesa dell'Io che, con la rimozione e lo spostamento trasferisce un complesso interiore che causa conflitti e ansia su un oggetto esterno che il soggetto fobico ritiene sia più facile evitare.
Al contrario per il comportamentismo la fobia è il risultato di un cattivo apprendimento che produce una risposta inadatta e sproporzionata alla situazione reale.
Francesco Giubbolini Psicoterapeuta a Siena
Tali sono la paura per spazi aperti (agorafobia), per quelli chiusi (claustrofobia), la paura di arrossire (eritrofobia), la paura dello sporco (rupofobia), la paura delle malattie (patofobia, vedi il post su: ipocondria), ecc.
La fobia si distingue dalla paura perché, a differenza di quest'ultima, non scompare di fronte a una verifica della realtà, e al tempo stesso va tenuta distinta dal delirio perché il fobico è perfettamente consapevole dell'irrazionalità dei suoi timori che tuttavia non riesce a risolvere.
Un tempo la psichiatria dinamica trattava unitariamente la fobia e l'ossessione; oggi si tende a differenziare le due figure perché, come precisa G. Jervis, «la fobia è il tentativo di costruire una difesa contro la propria ansia allontanandone ostinatamente l'occasione di manifestarsi con uno scongiurante e precipitoso atteggiamento di rifiuto che non fa che evocarne continuamente il fantasma; la difesa ossessiva è invece il tentativo di costruire una serie di barriere magiche fra sé e l'ansia, un labirinto di scongiuri, una struttura di comportamenti meticolosamente controllati, utili per allontanare all'infinito il momento del non-controllo, il rischio della crisi» (Jervis, 1975).
Le fobie sono cariche di significati simbolici nel senso che le cose o le persone o le situazioni temute dal soggetto rinviano in un modo più o meno deformato o a una pulsione repressa, o a una punizione per l'impulso inconscio e inaccettato, o a una combinazione delle due.
La condizione fobica rivela solitamente una condizione di dipendenza infantile e quindi di non raggiunta autonomia che si manifesta nella paura di agire e quindi nell'immobilismo.
Così il timore di luoghi aperti o di allontanarsi dall'ambiente noto (agorafobia) manifesta una situazione psicologica di insicurezza da far risalire a una condizione di dipendenza dalla famiglia e a sensi di colpa riguardanti la propria autonomia.
Allo stesso modo la fobia dello sporco (rupofobia) può nascondere il terrore del sesso, dello sperma e della gravidanza o inconfessabili sentimenti di colpa.
Le interpretazioni patogenetiche della fobia più accettate sono quella psicoanalitica e quella comportamentista.
Per la psicoanalisi, la fobia è il prodotto dei meccanismi di difesa dell'Io che, con la rimozione e lo spostamento trasferisce un complesso interiore che causa conflitti e ansia su un oggetto esterno che il soggetto fobico ritiene sia più facile evitare.
Al contrario per il comportamentismo la fobia è il risultato di un cattivo apprendimento che produce una risposta inadatta e sproporzionata alla situazione reale.
Francesco Giubbolini Psicoterapeuta a Siena
mercoledì 24 ottobre 2018
Dicesi 'Demofobia'
Pare che la 'demofobia' sia la sensazione di disagio che un individuo può sperimentare quando si trova in luoghi affollati e pieni di estranei.
Il disturbo sembra collegato all’agorafobia, termine che indica il timore di trovarsi in spazi aperti oppure in ambienti non familiari.
Il "demofobico" si aspetta di stare male in un posto pieno di gente, perché si rende conto che potrebbe essere difficile per lui uscirne e trovare rifugio in un luogo sicuro come casa propria. Le sue paure possono essere legate all'esistenza di un disturbo da attacchi di panico o alla presenza di una fobia sociale.
Gli attacchi di panico possono tipicamente scatenarsi in un demofobico che si trovi in una piazza gremita, in una discoteca o su un autobus sovraffollato, per esempio. Si manifestano con sintomi come paura di morire, tachicardia, sudorazione, mancanza d’aria.
Il timore di dover affrontare una crisi di panico può portare alla fobia sociale, cioè a evitare totalmente le occasioni di socialità.
È allora che la demofobia si trasforma in un disturbo invalidante.
Sarebbe da accertare l'esistenza stessa della patologia. E' probabile che sia una delle numerose 'scoperte' sull'onda del nosografismo selvaggio introdotto dall'uso del DSM.
Sommario del Sito Web sul tema: Depressione
I Links a tutte le pagine del sito il cui argomento è quello della Depressione
domenica 21 ottobre 2018
Cambiamenti nelle abitudini alimentari
Sintomi differenti associati con l'alimentazione sono le variazioni del peso e dell'appetito e le abbuffate di cibo.
Poiché le modificazioni del peso e dell'appetito sono comunemente causate da condizioni mediche generali, il primo pensiero dovrebbe essere sempre quello di escludere altre malattie internistiche prima di supporre che i sintomi siano psichiatrici.
Questo specialmente quando la perdita o l'aumento di peso sono di notevoli proporzioni e si manifestano insieme ad altri sintomi fisici.
Inoltre, le modificazioni dell'appetito e del peso sono anche frequentemente causate dall'uso di sostanze farmacologiche: in effetti, una delle principali ragioni per la non accettazione di molti farmaci psicotropi (per es., antidepressivi, neurolettici) è la paura dell'aumento di peso che comunemente accompagna il loro uso.
Dal momento che le modificazioni dell'appetito e gli aumenti o le perdite di peso sono così comuni in diversi disturbi psichiatrici, essi sono relativamente aspecifici nel fornire indizi per la diagnosi differenziale.
Quindi ci si deve affidare alle caratteristiche degli altri sintomi del quadro clinico e alla relazione temporale con essi per decidere qual è la spiegazione più adeguata per la modificazione dell'appetito o del peso.
Per esempio, un soggetto non mangia per il delirio che il cibo sia avvelenato (come nel Disturbo Delirante), per un sentimento di inutilità o per una perdita del piacere di mangiare (come nell'Episodio Depressivo Maggiore), o come conseguenza di una diminuzione dell'appetito o dell'essere "troppo indaffarato" (come nell'Episodio Maniacale)?
In alcuni soggetti, la perdita o l'aumento di peso sono associati ad un quadro clinico specifico di gravi distorsioni dell'immagine corporea e/o di abbuffate.
Il DSM comprende una sezione separata per i Disturbi dell'Alimentazione o DCA (Anoressia Mentale, Bulimia Nervosa) che sono caratterizzati da comportamenti alimentari specifici associati con eccessivo interesse per l'immagine corporea.
Nell'Anoressia Mentale, la paura patologica di essere grassi causa una perdita di peso spesso pericolosa. Alcuni soggetti con Anoressia Nervosa si dedicano ad abbuffate o all'uso di purganti, mentre altri raggiungono un peso basso esclusivamente con il digiuno e l'attività fisica eccessiva.
Diversamente rispetto all'Anoressia Nervosa, i soggetti con Bulimia Nervosa hanno un peso normale o lievemente superiore.
Essi si dedicano a cicli di abbuffate compensate dall'uso di metodi inappropriati per contrastare gli effetti del loro eccessivo apporto calorico (per es., vomito auto-indotto, abuso di lassativi, digiuno, attività fisica eccessiva).
Infine, è importante ricordare che le preoccupazioni sull'aspetto del corpo, sull'aumento e sulla perdita di peso e sulle esigenze dietetiche sono aspetti quasi ubiquitari della vita nel mondo moderno e di solito non giustificano di per sé una diagnosi di disturbo mentale.
Francesco Giubbolini Psicoterapeuta - Siena
Poiché le modificazioni del peso e dell'appetito sono comunemente causate da condizioni mediche generali, il primo pensiero dovrebbe essere sempre quello di escludere altre malattie internistiche prima di supporre che i sintomi siano psichiatrici.
Questo specialmente quando la perdita o l'aumento di peso sono di notevoli proporzioni e si manifestano insieme ad altri sintomi fisici.
Inoltre, le modificazioni dell'appetito e del peso sono anche frequentemente causate dall'uso di sostanze farmacologiche: in effetti, una delle principali ragioni per la non accettazione di molti farmaci psicotropi (per es., antidepressivi, neurolettici) è la paura dell'aumento di peso che comunemente accompagna il loro uso.
Dal momento che le modificazioni dell'appetito e gli aumenti o le perdite di peso sono così comuni in diversi disturbi psichiatrici, essi sono relativamente aspecifici nel fornire indizi per la diagnosi differenziale.
Quindi ci si deve affidare alle caratteristiche degli altri sintomi del quadro clinico e alla relazione temporale con essi per decidere qual è la spiegazione più adeguata per la modificazione dell'appetito o del peso.
Per esempio, un soggetto non mangia per il delirio che il cibo sia avvelenato (come nel Disturbo Delirante), per un sentimento di inutilità o per una perdita del piacere di mangiare (come nell'Episodio Depressivo Maggiore), o come conseguenza di una diminuzione dell'appetito o dell'essere "troppo indaffarato" (come nell'Episodio Maniacale)?
In alcuni soggetti, la perdita o l'aumento di peso sono associati ad un quadro clinico specifico di gravi distorsioni dell'immagine corporea e/o di abbuffate.
Il DSM comprende una sezione separata per i Disturbi dell'Alimentazione o DCA (Anoressia Mentale, Bulimia Nervosa) che sono caratterizzati da comportamenti alimentari specifici associati con eccessivo interesse per l'immagine corporea.
Nell'Anoressia Mentale, la paura patologica di essere grassi causa una perdita di peso spesso pericolosa. Alcuni soggetti con Anoressia Nervosa si dedicano ad abbuffate o all'uso di purganti, mentre altri raggiungono un peso basso esclusivamente con il digiuno e l'attività fisica eccessiva.
Diversamente rispetto all'Anoressia Nervosa, i soggetti con Bulimia Nervosa hanno un peso normale o lievemente superiore.
Essi si dedicano a cicli di abbuffate compensate dall'uso di metodi inappropriati per contrastare gli effetti del loro eccessivo apporto calorico (per es., vomito auto-indotto, abuso di lassativi, digiuno, attività fisica eccessiva).
Infine, è importante ricordare che le preoccupazioni sull'aspetto del corpo, sull'aumento e sulla perdita di peso e sulle esigenze dietetiche sono aspetti quasi ubiquitari della vita nel mondo moderno e di solito non giustificano di per sé una diagnosi di disturbo mentale.
Francesco Giubbolini Psicoterapeuta - Siena
venerdì 19 ottobre 2018
Terapia dinamica a breve e lungo termine
La psicoterapia dinamica ha avuto difficoltà ad entrare nel circolo della "psichiatria basata sulle prove di efficacia", ma nello scorso anno un elevato numero di studi clinici ha imposto alla comunità scientifica questo approccio con convinzione.
Ne è prova anche il fatto che il sito Journal Watch, nella sezione Psichiatria, abbia dedicato un posto d'onore alle pubblicazioni riguardanti la Psicoterapia dinamica considerandole tra le più valide dello scorso anno.
La psicoterapia dinamica si può articolare in trattamenti psicoterapici a breve termine o di lungo periodo.
Nei casi di soggetti che sono giunti ad un percorso terapeutico in seguito a esperienze di stress acuto o che devono risolvere alcuni punti della propria personalità, ma in un contesto definibile di salute mentale, allora la psicoterapia psicodinamica a breve termine è la soluzione migliore.
I parametri che caratterizzano le psicoterapie dinamiche brevi sono il time-limit setting e la focalizzazione su una o più problematiche del soggetto.
Le principali indicazioni alla psicoterapia dinamica breve sono considerate i disturbi d'ansia, la distimia, la bulimia, i disturbi somatoformi e i disturbi psicosomatici.
Invece, per i pazienti a cui sono stati diagnosticati disturbi mentali cronici o disturbi di personalità, la terapia efficace è quella a lungo termine.
Le principali indicazioni alla psicoterapia dinamica a lungo termine vengono considerate la depressione unipolare e il disturbo bipolare.
link alla pagina del sito sulla psicoterapia a breve termine
giovedì 18 ottobre 2018
Sindromi rare in psichiatria
Post in tema di sindromi rare in psichiatria.
Illusione del sosia (sindrome di Capgras): convinzione delirante che persone o ambiente non siano veramente loro, ma sosia che, come impostori, ne assumono ruolo e comportamenti.
Il delirio di negazione (o nichilistico, Sindrome di Cotard) è basato sulla convinzione della non-esistenza di sé, o di una parte di sé, di una parte del proprio corpo oppure di tutto il mondo circostante.
In psichiatria la scuola francese aveva introdotto l'espressione follia del dubbio (Folie du doute), oggi rubricata tra i disturbi a sfondo ossessivo-compulsivo, caratterizzata dalla presenza di dubbi persistenti e ripetitivi...
La sindrome di Münchausen è una patologia 'apparente’ provocata volontariamente dal paziente stesso e che produce segni e sintomi simili ad altre e diverse malattie.
La sindrome di Münchausen per procura (detta anche sindrome di Polle) rientra nella tipologia di patologie conosciute col nome di patologie della cura (in tal caso si parla di ipercura).
La sindrome 'Folie à deux' (follia a due) fu descritta per la prima volta da LASEGUE e FALRET nel 1873: con questo termine si indicano varie sindromi in cui deliri paranoidei vengono trasmessi
Illusione del sosia (sindrome di Capgras): convinzione delirante che persone o ambiente non siano veramente loro, ma sosia che, come impostori, ne assumono ruolo e comportamenti.
Il delirio di negazione (o nichilistico, Sindrome di Cotard) è basato sulla convinzione della non-esistenza di sé, o di una parte di sé, di una parte del proprio corpo oppure di tutto il mondo circostante.
In psichiatria la scuola francese aveva introdotto l'espressione follia del dubbio (Folie du doute), oggi rubricata tra i disturbi a sfondo ossessivo-compulsivo, caratterizzata dalla presenza di dubbi persistenti e ripetitivi...
La sindrome di Münchausen è una patologia 'apparente’ provocata volontariamente dal paziente stesso e che produce segni e sintomi simili ad altre e diverse malattie.
La sindrome di Münchausen per procura (detta anche sindrome di Polle) rientra nella tipologia di patologie conosciute col nome di patologie della cura (in tal caso si parla di ipercura).
La sindrome 'Folie à deux' (follia a due) fu descritta per la prima volta da LASEGUE e FALRET nel 1873: con questo termine si indicano varie sindromi in cui deliri paranoidei vengono trasmessi
mercoledì 17 ottobre 2018
Guarire dalla depressione
“Guarigione” non è più una parola “proibita”, almeno in psichiatria.
E’ invece un obiettivo, come in molte altre malattie complesse quali la depressione maggiore, che può essere raggiunto nella stragrande maggioranza dei casi.
Nonostante le concrete possibilità di trattamento esistenti a livello internazionale, c'è però un problema fondamentale: il cosiddetto "gap terapeutico" o "distanza" che esiste ancora tra ciò che può essere fatto e ciò che viene fatto per il trattamento dei disturbi mentali, specie i più frequenti nella popolazione (disturbi depressivi e disturbi d'ansia).
Lo studio internazionale di Thornichroft (British Journal of Psychiatry, 2017)
Ciò è evidenziato dai dati di uno studio internazionale importante e recente condotto dall'OMS (Thornichroft et al., Brit J. Psych., 2017) sulla diffusione dei disturbi mentali in 21 paesi del mondo. Questo studio mostra che solo il 23% delle persone con depressione elevata nei paesi ad alto reddito (e solo il 2% nei paesi a basso reddito) riceve un trattamento che soddisfa i criteri minimi di adeguatezza sulla base di prove scientifiche di efficacia.
Nel caso dell'Italia, si stima che circa il 3% della popolazione soffra di depressione.
Circa la metà di queste persone non vive la propria depressione come una malattia da trattare, rispetto a una media del 65% in altri paesi, paesi ad alto reddito nei quali invece i pazienti si rivolgono al proprio medico o allo specialista.
E’ invece un obiettivo, come in molte altre malattie complesse quali la depressione maggiore, che può essere raggiunto nella stragrande maggioranza dei casi.
Nonostante le concrete possibilità di trattamento esistenti a livello internazionale, c'è però un problema fondamentale: il cosiddetto "gap terapeutico" o "distanza" che esiste ancora tra ciò che può essere fatto e ciò che viene fatto per il trattamento dei disturbi mentali, specie i più frequenti nella popolazione (disturbi depressivi e disturbi d'ansia).
Lo studio internazionale di Thornichroft (British Journal of Psychiatry, 2017)
Ciò è evidenziato dai dati di uno studio internazionale importante e recente condotto dall'OMS (Thornichroft et al., Brit J. Psych., 2017) sulla diffusione dei disturbi mentali in 21 paesi del mondo. Questo studio mostra che solo il 23% delle persone con depressione elevata nei paesi ad alto reddito (e solo il 2% nei paesi a basso reddito) riceve un trattamento che soddisfa i criteri minimi di adeguatezza sulla base di prove scientifiche di efficacia.
Nel caso dell'Italia, si stima che circa il 3% della popolazione soffra di depressione.
Circa la metà di queste persone non vive la propria depressione come una malattia da trattare, rispetto a una media del 65% in altri paesi, paesi ad alto reddito nei quali invece i pazienti si rivolgono al proprio medico o allo specialista.
Giubbolini Angiolino da Colle di val d'Elsa
da Colle di val d'Elsa, nel 1915 aveva 62 anni.
Di professione bracciante agricolo, celibe, venne ricoverato all'Ospedale Psichiatrico San Niccolò di Siena nel 1915.
La cartella clinica riporta che il sintomo fondamentale del paziente era la "paura". Aveva paura della guerra.
Ammesso in O.P. con diagnosi di Psicosi Ciclotimica.
Dimesso guarito.
Nel 1918.
martedì 16 ottobre 2018
Dilemma Placebo
In una rassegna pubblicata di
recente su «The Lancet», Damien Finniss della Sydney Me
dical School dell'Università di
Sydney ha fatto il punto sull'effetto placebo.
Questo fenomeno si osserva quando, in seguito alla somministrazione di un finto farmaco (ovvero una sostanza iner te) si registra un'attenuazione dei sintomi nel paziente.
Sono due le osservazioni princi pali che emergono dal lavoro di Finniss.
Anzitutto il placebo è un effetto fisiologico genuino di cui sono almeno in parte note le basi biologiche.
Inoltre, nota il ricerca tore australiano, questo fenome no è comunemente usato dai medici nel trattamento di una vasta gamma di disturbi.
Vista la diffusione della pratica Finniss solleva una questione etica: è giusto mandare a casa un paziente ignaro dopo avergli somministrato poco più che una caramella?
«L'effetto placebo è un genuino fenomeno psicobiologico attribu ibile al contesto terapeutico nel suo complesso», osserva Finniss, e ciò significa che dipende non solo dalla convinzione del paziente riguardo l'efficacia di un trattamento, ma forse soprattutto dall'ambiente «medico» in cui vie ne somministrato.
Per esempio al cuni studi dimostrano che un'iniezione fatta da un medico o un infermiere è fino al 50 per cento più efficace rispetto a un'iniezione eseguita in maniera automatica e controllata da un computer.
Se ulteriori studi confermeranno l'effetto modulatorio dell'ambiente, in futuro sarà forse possibi le somministrare una cura basata sul placebo a un paziente informato, a patto di creare un am biente molto «convincente».
Questo fenomeno si osserva quando, in seguito alla somministrazione di un finto farmaco (ovvero una sostanza iner te) si registra un'attenuazione dei sintomi nel paziente.
Sono due le osservazioni princi pali che emergono dal lavoro di Finniss.
Anzitutto il placebo è un effetto fisiologico genuino di cui sono almeno in parte note le basi biologiche.
Inoltre, nota il ricerca tore australiano, questo fenome no è comunemente usato dai medici nel trattamento di una vasta gamma di disturbi.
Vista la diffusione della pratica Finniss solleva una questione etica: è giusto mandare a casa un paziente ignaro dopo avergli somministrato poco più che una caramella?
«L'effetto placebo è un genuino fenomeno psicobiologico attribu ibile al contesto terapeutico nel suo complesso», osserva Finniss, e ciò significa che dipende non solo dalla convinzione del paziente riguardo l'efficacia di un trattamento, ma forse soprattutto dall'ambiente «medico» in cui vie ne somministrato.
Per esempio al cuni studi dimostrano che un'iniezione fatta da un medico o un infermiere è fino al 50 per cento più efficace rispetto a un'iniezione eseguita in maniera automatica e controllata da un computer.
Se ulteriori studi confermeranno l'effetto modulatorio dell'ambiente, in futuro sarà forse possibi le somministrare una cura basata sul placebo a un paziente informato, a patto di creare un am biente molto «convincente».
Salute mentale e cure materne
La stabilità interiore dell'adulto dipende dall'affetto materno nei primi mesi di vita.
La relazione tra cure materne e stabilità mentale confermata da recenti studi in sintonia con quanto da sempre affermato dalla psicoanalisi.
Le carezze e l'affetto della madre nei primi mesi di vita sono fondamentali per diventare adulti piu' sicuri di se' e meno ansiosi e ostili.
Lo rivela uno studio pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health, il primo basato sul monitoraggio da zero a 34 anni di un gruppo di persone e che ha quindi consentito un'analisi oggettiva dell'effetto delle cure materne a lungo termine.
Lo studio e' stato condotto da Joanna Maselko della Duke University presso Durham in North Carolina, ed ha coinvolto 482 bambini seguiti fino all'eta' di 34 anni.
Gli psicologi hanno valutato nel corso di sedute il grado di affettivita' e attaccamento materno quando il piccolo aveva solo otto mesi e poi, a distanza di anni, con questionari ad hoc, hanno misurato il livello di salute psicologica di questi figli ormai divenuti adulti.
E' emerso che i bambini che hanno ricevuto piu' affetto e cure materne diventano adulti più sicuri e forti contro gli stress della vita, cui riescono a reagire meglio senza farsi 'calpestare' dalle avversità.
Tali soggetti mostrano livelli di ansia e ostilita' fino a sette punti inferiori a quelli mostrati dai loro coetanei le cui mamme non hanno instaurato coi figli ancora in fasce un legame altrettanto affettuoso.
L'affetto materno, dunque, e' un'ottima risorsa per crescere pronti ad affrontare la vita.
leggi anche, nel sito:
teoria dell'attaccamento
gli Autori della Teoria dell'Attaccamento
lunedì 15 ottobre 2018
Lisbeth Salander, Sindrome di Asperger
«I suoi problemi vanno molto oltre le condizioni che aveva in casa. Io ho letto tutte le perizie psichiatriche su di lei e non ho trovato una diagnosi.
Ma credo che possiamo essere d'accordo sul fatto che Lisbeth Salander non è come le persone normali. Ha mai giocato a scacchi con lei?»
«No.»
«Ha una memoria fotografica fuori del comune.»
«Questo lo so. L'ho capito quando la frequentavo.»
«Le piacciono gli enigmi. Una volta era da me per il pranzo di Natale e io l'ho indotta con l'inganno a risolvere alcuni problemi tratti da un test d'intelligenza. Di quelli che ti mostrano cinque simboli molto simili e tu devi capire come sarà il sesto.»
«Aha.»
«Avevo provato io stesso a farlo e ne avevo azzeccati solo metà. E dire che ci avevo dedicato due sere. Lei diede un'occhiata al foglio e rispose
correttamente a ogni singola domanda.»
«Okay» disse Mikael. «Lisbeth è una ragazza molto speciale.»
«Estremamente in difficoltà nelle relazioni con gli altri. Io avrei detto sindrome di Asperger, o qualcosa del genere. Le descrizioni cliniche dei pazienti con diagnosi di sindrome di Asperger in molti punti concorderebbero molto bene con quella di Lisbeth. Ma ci sono altrettanti punti che non quadrano.»
Le sindromi psichiatriche nella letteratura: Stieg Larssen, La ragazza che giocava con il fuoco, a proposito della Asperger.
sabato 13 ottobre 2018
Sommario di Psichiatria
Riferimenti rapidi alle pagine del sito inerenti le maggiori patologie di interesse psichiatrico
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giovedì 11 ottobre 2018
10 Ottobre giornata della Salute Mentale
"La giornata Mondiale della salute mentale, 10 ottobre, è stata istituita per sensibilizzare tutta la popolazione su quanto la sua integrità sia fondamentale per lo stato di salute generale e indispensabile per il funzionamento individuale e sociale.
Le patologie che minano la salute mentale rappresentano il 30% di tutte le disabilità e hanno un impatto notevole su quantità e qualità di vita con gravi ripercussioni sul piano personale, affettivo-familiare, socio-relazionale e lavorativo."
link al sito web de "La Stampa" con l'articolo:
http://www.lastampa.it/2018/10/09/scienza/disturbi-mentali-attenzione-a-non-fare-cronicizzare-stati-depressivi-o-ansiosi-8OprpEc6fFkDox4ADeLlXO/pagina.html
www.studiopsicoterapia.si.it - dr. Francesco Giubbolini Psicoterapeuta Siena
Pulsioni e Oggetti
LA PSICOANALISI TRA PULSIONI E RELAZIONI D'OGGETTO
Il termine pulsione è utilizzato da F r e u d per indicare un fattore diverso e diversificabile dall'istinto: quest'ultimo è un comportamento animale fissato dalle leggi dell'ereditarietà, caratteristico della specie e preformato. La pulsione invece è una costituente psichica in grado di produrre uno stato di eccitazione che spinge l'organismo all'attività. La pulsione si differenzia dallo stimolo per il fatto di trarre origine da fonti di stimolazione interne al corpo, da cui l'individuo non si può sottrarre. Il concetto di pulsione è al limite tra psichico e somatico. Per comprendere appieno l'importanza del concetto di pulsione è opportuno accennare alla teoria freudiana dello sviluppo sessuale, ed al concetto di "narcisismo" a questa collegato.
È comunque Freud che pone la costruzione teorica in una sistematizzazione coerente. Freud costruisce dunque la sua teoria sullo sviluppo sessuale che definisce la sessualità infantile come "polimorfa perversa". Quest'idea nacque in Freud in considerazione del fatto che egli riteneva la configurazione della sessualità adulta normale non come una necessità naturale ma come fenomeno culturale. Freud riteneva che il bambino fosse, per natura, orientato in senso narcisistico, ovvero sul proprio corpo, con una grande capacità di godimento fisico che solo successivamente veniva concentrata su di un organo particolare (i genitali) e subordinandola ad una meta (la funzione genitale, ovvero la procreazione) che è imposta non dal principio di piacere ma da quello di realtà. Dunque il lungo periodo dell'infanzia umana, con l'intensità delle cure materne che lo accompagnano e con il lungo prolungamento di queste, comporta l'intensa fioritura della sessualità infantile che deve però ridimensionarsi quando viene a contatto con il principio di realtà, frutto dell'educazione e della cultura. È opportuno altresì soffermarsi sul concetto di narcisismo primario poiché è particolarmente importante ai fini della comprensione della concezione di.Freud in merito ad oggetti e pulsioni. Il termine narcisismo appare per la prima volta, in Freud, nel 1909, per spiegare la scelta oggettuale degli omosessuali.
Il concetto di narcisismo pone Freud, che lo ha introdotto, in difficoltà e determina una radicale trasformazione della originaria teoria pulsionale, che contemplava la contrapposizione tra principio di piacere e di realtà, verso la formulazione definitiva di questa, che vede la contrapposizione tra istinti di vita (eros) e di morte (thanatos), espressa in "Al di là del principio di piacere" (1920): si può riconoscere questa difficoltà nel fatto che è necessario spiegare come mai l'istinto sessuale possa trovare (o addirittura perché debba ricercare) il piacere fisico in una forma appropriata di unione con la realtà esterna, con l'altro: anche Freud si accorge che l'essere umano non ama solo se stesso, come riteneva, ma anche la madre che si prende cura di lui; Freud non riusciva cioè a spiegarsi, l'attaccamento della libido agli oggetti: "... possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti; Attenendoci al nostro orientamento di pensiero dovremmo rispondere ancora una volta che tale necessità interviene quando l'investimento dell'io ha oltrepassato una certa misura." (1914). È quindi come qualcosa che trabocca, che non può ulteriormente essere trattenuto. Nell'impostazione concettuale di Freud il principio di realtà comincia dunque a non essere più così distinto dal principio di piacere: il principio di piacere, per esprimersi, necessita della presenza di un oggetto esterno. Freud ritenne tuttavia di essere posto in difficoltà dal concetto di narcisismo poiché se la libido narcisistica è rivolta verso il soggetto, allora non è possibile distinguerla dall'istinto di auto conservazione. Narcisismo, pulsioni ed oggetti sono dunque concetti strettamente correlati.
Il termine "oggetto" ha, nella psicoanalisi freudiana, almeno due diversi significati. Il primo è quello correlato alla pulsione: l'oggetto è ciò in cui e con cui la pulsione tende a raggiungere la soddisfazione. Analizzando il concetto di pulsione, Freud distinse oggetto e meta: l'oggetto, in questo senso, è il mezzo contingente di soddisfacimento: "... è l'elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento". (1915). Una siffatta definizione delle pulsioni e degli oggetti comporta, fondamentalmente e costantemente nell'opera di Freud, il carattere contingente ed "accessorio" degli oggetti: la libido, in altri termini, per Freud è alla ricerca del piacere, è in origine completamente orientata verso il soddisfacimento e verso la risoluzione delle tensioni. L'oggetto esiste come mezzo di de-tensione pulsionale. Il secondo significato del termine "oggetto" indica un qualcosa che prescinde dalla pulsione, ammesso che questa possa essere considerata in maniera indipendente rispetto agli oggetti: e designa ciò che per il soggetto è oggetto di attrazione e di amore. Ma questa seconda concezione, in Freud, è particolarmente sfumata, ed interessa fasi più tardive dello sviluppo: solo alla pubertà, infatti, interviene per Freud la scelta oggettuale. Nel bambino infatti le pulsioni vengono considerate parziali, ed i concetti di "auto-erotismo" e "narcisismo" indicano ambedue l'assenza di un orientamento oggettuale vero, rivolto verso l'atro. L'idea di pulsioni parziali introduce dunque un ulteriore aspetto del problema: spinge cioè a distinguere un oggetto propriamente pulsionale ed un oggetto d'amore vero e proprio: il primo è quello capace di procurare il soddisfacimento della pulsione in causa; il secondo è quello che soggiace alla dualità degli istinti e delle pulsioni di vita e di morte. Se l'oggetto parziale può essere considerato uno dei poli insuperabili della pulsione sessuale, d'altra parte la psicoanalisi freudiana pone anche l'oggetto totale inserito in una prospettiva narcisistica, ovvero come replica dell'io. Sappiamo infatti che l'io, nel narcisismo, è definito esso stesso come oggetto d'amore, e può, nella concezione di Freud, essere addirittura considerato prototipo di ogni ulteriore oggetto d'amore.
Quella che à stata definita teoria delle pulsioni contiene alcune tra le intuizioni più importanti di Freud, così come alcuni dei maggiori difetti teorici. È ciò che ha spinto molti ad un tentativo di abbandono della teoria stessa delle pulsioni, la quale, tuttavia, ha un enorme significato nella costruzione psicoanalitica intera.
Si deve quindi considerare che Klein ignora totalmente il concetto di desiderio e, tanto meno, la possibilità di soddisfazione di esso. Ovvero: parlare in termini coerenti di rapporto oggettuale significa considerare l'esistenza di due soggetti diversi, in rapporto tra loro; ciascuno dei due con proprie caratteristiche umane che non possono essere intese esclusivamente nei termini di presenza-assenza (fisica): il seno non è necessariamente buono solo in virtù del fatto di essere presente, così come non può essere considerato cattivo perché assente.
Si può cogliere, nella Klein, una contrapposizione, che però solo successivamente sarà realmente sviluppata da altri autori, tra teorie pulsionali e teorie oggettuali: come però abbiamo già detto, a noi pare che questa contrapposizione non sia così reale. Sebbene infatti la Klein rifiuti il concetto di narcisismo primario, in realtà le relazioni oggettuali del neonato sono dominate da quello che Freud aveva definito sadismo originario (che al narcisismo primario è intimamente collegato), come espressione mentale dell'istinto di morte. Una contrapposizione quindi tra pulsioni e relazioni oggettuali più apparente che reale.
La maggiore attenzione posta al concetto di "relazione oggettuale" nel senso di Fairbain comporta un cambiamento radicale di prospettiva sia in campo teorico che clinico. Il cambiamento riguarda diversi aspetti: nella concezione di Freud, l'oggetto non è caratterizzato da altra condizione se non quella di procurare il soddisfacimento. Inoltre, solo un preciso oggetto, per ogni individuo, od un suo sostituto, può procurare tale soddisfacimento: Freud infatti sostiene che la scoperta di un oggetto è sempre una riscoperta. Nelle concezioni successive a Freud viene ridimensionata l'importanza delle pulsioni e l'attenzione viene posta maggiormente sulle qualità dell'oggetto. I concetti di fonte pulsionale e meta (ovvero soddisfacimento) perdono importanza, mentre ne acquista il concetto di relazione. La libido dunque ricerca in primis la relazione, e non semplicemente la soddisfazione come de-tensione pulsionale. Inoltre, risulta modificato anche lo "status" dell'oggetto, nel senso di una mancanza di unicità individuale: la relazione oggettuale si presenta infine come un concetto "olistico" e differenziatore nello sviluppo della personalità.
La teoria pulsionale di Freud, la preminenza del soddisfacimento pulsionale ed il concetto di "narcisismo primario" sono stati profondamente modificati dalla successiva ricerca psicoanalitica; il contributo della psicologia dell'io, formulata da H a r t m a n n, è inerente l'affermazione che determinate funzioni dell'io si sviluppano in maniera autonoma rispetto al soddisfacimento pulsionale, ed è evidente che tali formulazioni si sono sviluppate in conseguenza di inadeguatezze implicite nella teoria pulsionale freudiana di cui possono essere considerate tentativi di correzione. La psicologia dell'io cioè propone una alternativa all'ipotesi freudiana che il pensiero si sviluppi poiché il tentativo di "allucinazione del seno" (1899) fallisce, implicitamente affermando che qualora l'allucinare il seno riuscisse, il pensiero e l'io non potrebbero svilupparsi; inoltre le formulazioni di Hartmann si pongono come tentativo di correzione delle incompatibilità esistenti tra la specifica teoria freudiana e la realtà dei processi maturativi e come tentativo quindi di conciliazione tra la teoria psicoanalitica e la realtà biologica e fisiologica che la teoria pulsionale freudiana contraddiceva.
La teoria delle relazioni oggettuali, nata allo scopo di affermare l'autonomia delle relazioni d'oggetto rispetto alle pulsioni, si è spinta sino al rifiuto pressoché totale della teoria pulsionale stessa. Se la psicologia dell'io tendeva a mantenere intatta la validità della teoria delle pulsioni, la teoria delle relazioni oggettuali sostituiva il primato pulsionale con la tendenza alla ricerca dell'oggetto.
D'altra parte Balint (1937) già aveva sostenuto che esistono precocemente relazioni oggettuali, ad esempio nel lattante, quindi un "amore oggettuale primario" sarebbe in pratica inconciliabile con la nozione di narcisismo primario: separatezza e rapporto intersoggettivo sono i risultati comuni dell'attuale ricerca psicoanalitica incentrata sull'osservazione del neonato.
Le problematiche relative alla reciprocità affettiva evidenziano anche i limiti della teoria della "libido" di Freud: S p i t z (1976) ha sottolineato come Freud abbia considerato l'oggetto libidico quasi esclusivamente dal punto di vista dei desideri inconsci del bambino, e non sullo sfondo della relazione reciproca madre-bambino; T h ó m a e K a chele (1985), a loro volta, sottolineano come il radicamento di questa stessa tradizione abbia consentito a Kohut di derivare l'oggetto-sé dallo stesso, ipotetico, esperire narcisistico del bambino. Me 1 t z -e r (1992) ha affermato che l'evoluzione psicopatologica nell'essere umano è secondaria, più che alla esistenza di un istinto di morte, al fallimento relazionale, la cui conseguenza è quella di condurre verso una condizione narcisistica.
Non vi è dubbio chele idee espresse dai teorici delle "relazioni oggettuali" abbiano rappresentato un notevole progresso rispetto alle iniziali concettualizzazioni di Freud per il quale la pulsione di morte, oltre ad esprimere la tendenza istintuale conservatrice degli esseri viventi, esprime anche, dal punto di vista pulsionale vero e proprio, la condizione di narcisismo primario che può essere considerata alla base di tutto il successivo sviluppo della teoria psicoanalitica. Se le formulazioni espresse dalla psicologia dell'io potevano essere con facilità integrate nella teoria pulsionale freudiana, considerate un completamento di questa, la teoria della relazioni oggettuali può invece essere ragionevolmente ritenuta un cambiamento di paradigma della teoria psicoanalitica. Nel senso che il primato etiologico dello sviluppo umano spetta non alle vicissitudini del soddisfacimento pulsionale ma alla qualità affettiva delle originarie relazioni oggettuali. È cioè la qualità dell'oggetto ad evere significatività primaria.
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M a n c i a M. (1992) - Dall'Edipo al sogno, Cortina, Milano, 1994. M e 1 t z e r D. (1992) - Claustrum, Cortina, Milano, 1993.
S p i t z R.A. - Vom Dialog. Studien uber den unsprung der menschlichen kommunikation und ihrerole in der personlichkeitsbildung, Klett, Stuttgard, 1976, cit. in: Thóma H., Kàchele H. (1985), op. cit.
T h o m a H., K a c h e l e H. - Trattato di terapia psicoanalitica (1985), Bollati Boringhieri, Torino, 1990.
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W i n n i c o t t D.W. (1964) - Il neonato e la madre, in: "I bambini e le loro madri", Cortina, Milano, 1987.
Rassegna studi psichiatrici, LXXXIII, 4, 1994, Siena
Il termine pulsione è utilizzato da F r e u d per indicare un fattore diverso e diversificabile dall'istinto: quest'ultimo è un comportamento animale fissato dalle leggi dell'ereditarietà, caratteristico della specie e preformato. La pulsione invece è una costituente psichica in grado di produrre uno stato di eccitazione che spinge l'organismo all'attività. La pulsione si differenzia dallo stimolo per il fatto di trarre origine da fonti di stimolazione interne al corpo, da cui l'individuo non si può sottrarre. Il concetto di pulsione è al limite tra psichico e somatico. Per comprendere appieno l'importanza del concetto di pulsione è opportuno accennare alla teoria freudiana dello sviluppo sessuale, ed al concetto di "narcisismo" a questa collegato.
Nel 1905 Freud pubblica i "Tre saggi sulla teoria
sessuale" (1905): nel secondo di questi affronta il problema della
sessualità infantile. Freud afferma che bocca e stadio orale sono il
primo sviluppo della sessualità infantile la quale si sviluppa sulla
fisiologia, è autoeorica e non conosce oggetti. Le fasi dello sviluppo
della sessualità infantile vengono espresse come segue: vi sarebbe
dapprima una fase di autoerotismo, durante il quale ogni parte del
corpo può essere considerata erogena ma la cui sede abituale è la
bocca, la cui mucosa esprime la sessualità e la soddisfazione di questa
nell'attività della suzione (fase orale). A questa segue la fase
anale, durante la quale il trattenere le feci rappresenta la massima
fonte di soddisfazione. Segue infine la fase genitale che può essere
evidenziata dalla masturbazione. Il bambino per Freud durante queste
fasi è un "polimorfo perverso", ovvero in lui sono presenti, almeno
potenzialmente, tutte le perversioni. Sarà solo alla pubertà che il
bambino potrà passare dalla condizione di auto-erotismo a quella di
amore oggettuale, dalle pulsioni parziali alla loro integrazione; il
proprio corpo ed il seno della madre sono il primo, indifferenziato,
oggetto d'amore: dopo lo svezzamento la sessualità regredisce allo
stato autoerotico, e solo successivamente sarà, di nuovo, rivolta ad
oggetti esterni.
Nei "Tre saggi" viene espressa la teoria della
"libido", termine che era già in uso, così come quelli di
auto-erostimo e zona erogena. Il modello della libido, o "pulsione
sessuale", era già stato tracciato da P 1 a t o n e, con il quale Freud
condivide anche l'idea dell'originaria bisessualità degli esseri umani
(il mito platonico dell'androgino). Anche che la pulsione sessuale
fosse, originariamente, rivolta verso il proprio corpo anziché su
oggetti esterni era un'idea già espressa da Ellis, che aveva già
parlato sia dell'autoerotismo che del narcisismo.
È comunque Freud che pone la costruzione teorica in una sistematizzazione coerente. Freud costruisce dunque la sua teoria sullo sviluppo sessuale che definisce la sessualità infantile come "polimorfa perversa". Quest'idea nacque in Freud in considerazione del fatto che egli riteneva la configurazione della sessualità adulta normale non come una necessità naturale ma come fenomeno culturale. Freud riteneva che il bambino fosse, per natura, orientato in senso narcisistico, ovvero sul proprio corpo, con una grande capacità di godimento fisico che solo successivamente veniva concentrata su di un organo particolare (i genitali) e subordinandola ad una meta (la funzione genitale, ovvero la procreazione) che è imposta non dal principio di piacere ma da quello di realtà. Dunque il lungo periodo dell'infanzia umana, con l'intensità delle cure materne che lo accompagnano e con il lungo prolungamento di queste, comporta l'intensa fioritura della sessualità infantile che deve però ridimensionarsi quando viene a contatto con il principio di realtà, frutto dell'educazione e della cultura. È opportuno altresì soffermarsi sul concetto di narcisismo primario poiché è particolarmente importante ai fini della comprensione della concezione di.Freud in merito ad oggetti e pulsioni. Il termine narcisismo appare per la prima volta, in Freud, nel 1909, per spiegare la scelta oggettuale degli omosessuali.
Il termine è ripreso da Havelock Ellis (1897) che
lo aveva usato (Narcissus-like) per indicare un atteggiamento
psicologico, l'amore verso l'immagine di se stessi, con un preciso
riferimento al mito di Narciso. Nel 1914 Freud introduce il termine in
uno scritto apposito. Freud infatti aveva presupposto l'esistenza di
una fase dell'evoluzione sessuale, quella appunto del narcisismo,
intermedia tra quella dell'autoerotismo e quella dell'amore
oggettuale. Quello che Freud definisce narcisismo primario
è uno stadio evolutivo precoce durante il quale il bambino investe
tutta la sua libido su se stesso: l'io, in questo caso, è posto alla
stregua di un oggetto esterno. Credo si possa esprimere nella maniera
migliore ciò che Freud con precisione intende per narcisismo primario
citando le parole stesse di Freud: "... Ci formiamo... il concetto di
un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta
in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste ed ha con gli
investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un
organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette" (1914). Il
narcisismo secondario designerebbe invece un ripiegamento sull'io
della libido, sottratta ai suoi investimenti oggettuali. Anche il
termine auto erotismo è ripreso da H. Ellis: Freud nei "Tre saggi sulla
teoria sessuale" utilizza il termine per descrivere la sessualità
infantile in uno stadio talmente precoce da essere addirittura
antecedente alla fase del narcisismo primario: le pulsioni sessuali,
in questa fase, si soddisfano ciascuna per proprio conto, ciascuna
attraverso componenti parziali. In seguito Freud abbandonerà, in
pratica, la distinzione tra auto-erotismo e narcisismo, facendo
coincidere tali fasi nell'evoluzione della sessualità. Comunque, in
genere, Freud designa come narcisismo primario quella fase nella quale
il bambino assume se stesso come oggetto d'amore, prima di scegliere
oggetti esterni. Il periodo durante il quale questa fase si sviluppa
sarebbe il primo stadio della vita, antecedente alla costituzione
dell'io, ed il cui archetipo è quello della vita intrauterina.
Il concetto di narcisismo pone Freud, che lo ha introdotto, in difficoltà e determina una radicale trasformazione della originaria teoria pulsionale, che contemplava la contrapposizione tra principio di piacere e di realtà, verso la formulazione definitiva di questa, che vede la contrapposizione tra istinti di vita (eros) e di morte (thanatos), espressa in "Al di là del principio di piacere" (1920): si può riconoscere questa difficoltà nel fatto che è necessario spiegare come mai l'istinto sessuale possa trovare (o addirittura perché debba ricercare) il piacere fisico in una forma appropriata di unione con la realtà esterna, con l'altro: anche Freud si accorge che l'essere umano non ama solo se stesso, come riteneva, ma anche la madre che si prende cura di lui; Freud non riusciva cioè a spiegarsi, l'attaccamento della libido agli oggetti: "... possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti; Attenendoci al nostro orientamento di pensiero dovremmo rispondere ancora una volta che tale necessità interviene quando l'investimento dell'io ha oltrepassato una certa misura." (1914). È quindi come qualcosa che trabocca, che non può ulteriormente essere trattenuto. Nell'impostazione concettuale di Freud il principio di realtà comincia dunque a non essere più così distinto dal principio di piacere: il principio di piacere, per esprimersi, necessita della presenza di un oggetto esterno. Freud ritenne tuttavia di essere posto in difficoltà dal concetto di narcisismo poiché se la libido narcisistica è rivolta verso il soggetto, allora non è possibile distinguerla dall'istinto di auto conservazione. Narcisismo, pulsioni ed oggetti sono dunque concetti strettamente correlati.
Il termine "oggetto" ha, nella psicoanalisi freudiana, almeno due diversi significati. Il primo è quello correlato alla pulsione: l'oggetto è ciò in cui e con cui la pulsione tende a raggiungere la soddisfazione. Analizzando il concetto di pulsione, Freud distinse oggetto e meta: l'oggetto, in questo senso, è il mezzo contingente di soddisfacimento: "... è l'elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento". (1915). Una siffatta definizione delle pulsioni e degli oggetti comporta, fondamentalmente e costantemente nell'opera di Freud, il carattere contingente ed "accessorio" degli oggetti: la libido, in altri termini, per Freud è alla ricerca del piacere, è in origine completamente orientata verso il soddisfacimento e verso la risoluzione delle tensioni. L'oggetto esiste come mezzo di de-tensione pulsionale. Il secondo significato del termine "oggetto" indica un qualcosa che prescinde dalla pulsione, ammesso che questa possa essere considerata in maniera indipendente rispetto agli oggetti: e designa ciò che per il soggetto è oggetto di attrazione e di amore. Ma questa seconda concezione, in Freud, è particolarmente sfumata, ed interessa fasi più tardive dello sviluppo: solo alla pubertà, infatti, interviene per Freud la scelta oggettuale. Nel bambino infatti le pulsioni vengono considerate parziali, ed i concetti di "auto-erotismo" e "narcisismo" indicano ambedue l'assenza di un orientamento oggettuale vero, rivolto verso l'atro. L'idea di pulsioni parziali introduce dunque un ulteriore aspetto del problema: spinge cioè a distinguere un oggetto propriamente pulsionale ed un oggetto d'amore vero e proprio: il primo è quello capace di procurare il soddisfacimento della pulsione in causa; il secondo è quello che soggiace alla dualità degli istinti e delle pulsioni di vita e di morte. Se l'oggetto parziale può essere considerato uno dei poli insuperabili della pulsione sessuale, d'altra parte la psicoanalisi freudiana pone anche l'oggetto totale inserito in una prospettiva narcisistica, ovvero come replica dell'io. Sappiamo infatti che l'io, nel narcisismo, è definito esso stesso come oggetto d'amore, e può, nella concezione di Freud, essere addirittura considerato prototipo di ogni ulteriore oggetto d'amore.
Quella che à stata definita teoria delle pulsioni contiene alcune tra le intuizioni più importanti di Freud, così come alcuni dei maggiori difetti teorici. È ciò che ha spinto molti ad un tentativo di abbandono della teoria stessa delle pulsioni, la quale, tuttavia, ha un enorme significato nella costruzione psicoanalitica intera.
La teoria delle pulsioni, così come formulata da
Freud, può cogliersi nella sua interezza, e nelle sue conseguenze,
nella teoria che venne successivamente formulata da Melanie Klein
(1921-1958). Vi sono, in questa, delle differenze rispetto alla
psicoanalisi freudiana, ma sono più apparenti che reali: la teoria
delle pulsioni è infatti sostituita, almeno nei termini, dalla teoria
dell'oggetto e quindi lo sviluppo emozionale sembra caratterizzato dalle
relazioni oggettuali più che dallo sviluppo pulsionale. Inoltre la
Klein parla di fantasie più che di rimozioni e definisce compito della
psicoanalisi l'interpretazione di esse fantasie più che quella delle
difese contro le pulsioni inconsce. I termini di "relazione
oggettuale" e di "fantasia" sembrerebbero indicare una strutturazione
teorica sensibilmente diversa rispetto a quella freudiana: tuttavia,
per Klein, la dualità delle pulsioni di vita e di morte è operante sin
dalle primissime fasi della vita e si esprime sull'oggetto "seno",
il primo oggetto del bambino, che viene ad essere scisso in seno buono
(quello che nutre) e seno cattivo (quello che si ritira o si rifiuta).
Analoga sorte subiscono tutti gli oggetti, sia quelli parziali che
quelli totali, in un vero e proprio circolo vizioso in virtù del quale
il bambino proietta il suo amore sull'oggetto buono e la sua
aggressività su quello cattivo ed introietta l'amore dell'oggetto
buono e la persecutorietà di quello cattivo. Lo sviluppo dell'io è un
processo di continue introiezioni e proiezioni. Klein, al posto delle
fasi dello sviluppo di Freud, introduce il termine di posizione: nei
primi quattro mesi di vita il bambino attraversa, per Klein
fisiologicamente, la posizione schizoparanoidea
ovvero una fase di sviluppo durante la quale dominano i meccanismi di
scissione dell'oggetto (schizo) ed il carattere persecutorio
(paranoideo) di esso oggetto; tale prima fase viene "superata" da
quella che Klein definisce "posizione depressiva" che
si costituisce appunto al quarto mese di vita e che è caratterizzata
da una attenuazione della scissione poiché il bambino scoprirebbe che
seno buono e seno cattivo sono nient'altro che il medesimo seno: la
madre cioè comincia ad essere percepita non come oggetto parziale ma
come oggetto totale, con l'unica differenza però che l'angoscia,
anziché persecutoria, diviene depressiva (per il pericolo che il bambino
avvertirebbe di poter distruggere la madre nella sua totalità a causa
del proprio sadismo). Anche la posizione successiva, che Klein
definisce riparatoria, consisterebbe nel ripristino dell'integrità
dell'oggetto-madre che avviene attraverso difese maniacali, oppure
attraverso una realizzazione onnipotente, o ancora attraverso
meccanismi ossessivi o, nella migliore delle ipotesi, attraverso il
processo di sublimazione: meccanismi tutti, comunque, dettati da un
originario ed irrisolvibile senso di colpa.
La madrina del battesimo del neonato kleiniano è
dunque la pulsione di morte freudiana, la cui intollerabile malvagità
può essere sostenuta solo attraverso la scissione dell'oggetto in seno
buono e seno cattivo. Il successivo adulto, sviluppatosi da siffatta
teoria, vivrà un'esistenza tragica, nel continuo ed altrettanto inutile
tentativo di riparazione dei danni immaginari prodotti dall'odio e
dall'invidia, tentativo comunque destinato al più totale insuccesso.
Tutto nasce, ancora una volta, dall'innato istinto di morte; tutto si
svolge attraverso il meccanismo della proiezione di esso istinto su
ipotetici oggetti i quali sembrano non avere, di per sé, alcuna
capacità o coloritura affettiva. L'io, di fronte all'istinto di morte,
lo deflette proiettandolo sul seno.
Si deve quindi considerare che Klein ignora totalmente il concetto di desiderio e, tanto meno, la possibilità di soddisfazione di esso. Ovvero: parlare in termini coerenti di rapporto oggettuale significa considerare l'esistenza di due soggetti diversi, in rapporto tra loro; ciascuno dei due con proprie caratteristiche umane che non possono essere intese esclusivamente nei termini di presenza-assenza (fisica): il seno non è necessariamente buono solo in virtù del fatto di essere presente, così come non può essere considerato cattivo perché assente.
G a d d i n i (1984) ha sottolineato la possibilità
dell'assenza della madre ma anche che una madre fisicamente presente
(che definisce biologica) non sia in grado di essere anche madre
psicologica; analogamente, l'assenza fisica può essere presenza
psichica (immagine interiore), e ciò accade se il seno che nutre ha
soddisfatto il desiderio del bambino. G l o v e r (1945) ha criticato
duramente il sistema concettuale della Klein: "... Invece che il trauma
della nascita di Rank ci viene offerto il "trauma d'amore" del terzo
mese (cioè il trauma della posizione depressiva) che influenza lo
sviluppo successivo, come Rank pensava per il trauma della nascita... A
mio parere il concetto del trauma d'amore del bambino di tre mesi,
dovuto alla immaginaria distruzione ingorda di una madre che il
bambino realmente ama, è una variante delle dottrina del peccato
originale". L i c h t e n b e r g (1984) ha sottolineato come non vi
sia pressoché alcun riscontro della fantasia kleiniana di distruzione
proiettata sul seno ed introiettata attraverso il latte avvelenato, così
come non vi è alcuna evidenza di invidie primarie.
Si può cogliere, nella Klein, una contrapposizione, che però solo successivamente sarà realmente sviluppata da altri autori, tra teorie pulsionali e teorie oggettuali: come però abbiamo già detto, a noi pare che questa contrapposizione non sia così reale. Sebbene infatti la Klein rifiuti il concetto di narcisismo primario, in realtà le relazioni oggettuali del neonato sono dominate da quello che Freud aveva definito sadismo originario (che al narcisismo primario è intimamente collegato), come espressione mentale dell'istinto di morte. Una contrapposizione quindi tra pulsioni e relazioni oggettuali più apparente che reale.
La concezione freudiana delle pulsioni e degli
oggetti ha sollevato obiezioni che possono essere riassunte
utilizzando la distinzione proposta da F a i r b a i n: la libido è
alla ricerca del piacere oppure, primariamente, dell'oggetto in quanto
tale? Il termine "relazione oggettuale" compare
raramente in Freud, e certamente il relativo concetto non appartiene
alla sua metapsicologia. A partire dagli anni '30 tuttavia tale
concetto ha assunto una sempre maggiore importanza; per Balint, ad
esempio, tutti i termini della psicoanalisi, ad eccezione appunto del
termini "oggetto" e "relazione oggettuale", si riferiscono
all'individuo da solo (per usare l'espressione introdotta da R i c k m
a n ad una "one-body psychology").
Analogamente, S p i t z ha notato come Freud abbia affrontato il problema dell'oggetto libidico dal solo punto di vista del soggetto.
Analogamente, S p i t z ha notato come Freud abbia affrontato il problema dell'oggetto libidico dal solo punto di vista del soggetto.
La maggiore attenzione posta al concetto di "relazione oggettuale" nel senso di Fairbain comporta un cambiamento radicale di prospettiva sia in campo teorico che clinico. Il cambiamento riguarda diversi aspetti: nella concezione di Freud, l'oggetto non è caratterizzato da altra condizione se non quella di procurare il soddisfacimento. Inoltre, solo un preciso oggetto, per ogni individuo, od un suo sostituto, può procurare tale soddisfacimento: Freud infatti sostiene che la scoperta di un oggetto è sempre una riscoperta. Nelle concezioni successive a Freud viene ridimensionata l'importanza delle pulsioni e l'attenzione viene posta maggiormente sulle qualità dell'oggetto. I concetti di fonte pulsionale e meta (ovvero soddisfacimento) perdono importanza, mentre ne acquista il concetto di relazione. La libido dunque ricerca in primis la relazione, e non semplicemente la soddisfazione come de-tensione pulsionale. Inoltre, risulta modificato anche lo "status" dell'oggetto, nel senso di una mancanza di unicità individuale: la relazione oggettuale si presenta infine come un concetto "olistico" e differenziatore nello sviluppo della personalità.
La teoria pulsionale di Freud, la preminenza del soddisfacimento pulsionale ed il concetto di "narcisismo primario" sono stati profondamente modificati dalla successiva ricerca psicoanalitica; il contributo della psicologia dell'io, formulata da H a r t m a n n, è inerente l'affermazione che determinate funzioni dell'io si sviluppano in maniera autonoma rispetto al soddisfacimento pulsionale, ed è evidente che tali formulazioni si sono sviluppate in conseguenza di inadeguatezze implicite nella teoria pulsionale freudiana di cui possono essere considerate tentativi di correzione. La psicologia dell'io cioè propone una alternativa all'ipotesi freudiana che il pensiero si sviluppi poiché il tentativo di "allucinazione del seno" (1899) fallisce, implicitamente affermando che qualora l'allucinare il seno riuscisse, il pensiero e l'io non potrebbero svilupparsi; inoltre le formulazioni di Hartmann si pongono come tentativo di correzione delle incompatibilità esistenti tra la specifica teoria freudiana e la realtà dei processi maturativi e come tentativo quindi di conciliazione tra la teoria psicoanalitica e la realtà biologica e fisiologica che la teoria pulsionale freudiana contraddiceva.
La teoria delle relazioni oggettuali, nata allo scopo di affermare l'autonomia delle relazioni d'oggetto rispetto alle pulsioni, si è spinta sino al rifiuto pressoché totale della teoria pulsionale stessa. Se la psicologia dell'io tendeva a mantenere intatta la validità della teoria delle pulsioni, la teoria delle relazioni oggettuali sostituiva il primato pulsionale con la tendenza alla ricerca dell'oggetto.
È, almeno inizialmente, nella tradizione del pensiero kleiniano che si pone il pensiero di Fairbain
(1952) il quale sostituisce in maniera pressoché totale il concetto
freudiano di pulsione con quello di "relazione oggettuale", sostenendo
che l'indagine psicopatologica deve essere indirizzata allo studio,
anziché delle pulsioni, degli oggetti verso i quali esse pulsioni sono
dirette. Fairbain sostenne che "la libido ricerca l'oggetto e non il piacere",
affermando contemporaneamente che le relazioni oggettuali sono
primarie ed autonome e non semplicemente conseguenza secondaria del
soddisfacimento, con ciò contraddicendo l'idea freudiana secondo la
quale l'oggetto altro non sarebbe se non il mezzo, lo strumento,
attraverso cui la pulsione realizza il proprio scopo.
Gli assunti della teoria di Fairbain possono essere considerati i seguenti:
1) Vi sarebbe una progressiva evoluzione da uno stato di relativa mancanza di differenziazione tra sé ed oggettti verso una condizione di crescente differenziazione.
2) Caratteristica di tale evoluzione sarebbe il senso crescente della propria separatezza.
3) Vi sarebbe una progressiva acquisizione di capacità relazionali sempre più valide basate sul senso di separatezza.
4) Il tempo di tale evoluzione sarebbe quello della vita precoce, il luogo quello della relazione madre-bambino.
5) La psicopatologia si configurerebbe come conseguenza di alterazioni del rapporto tra madre e bambino e quindi di difficoltà nello svolgersi dello sviluppo preedipico piuttosto che edipico.
1) Vi sarebbe una progressiva evoluzione da uno stato di relativa mancanza di differenziazione tra sé ed oggettti verso una condizione di crescente differenziazione.
2) Caratteristica di tale evoluzione sarebbe il senso crescente della propria separatezza.
3) Vi sarebbe una progressiva acquisizione di capacità relazionali sempre più valide basate sul senso di separatezza.
4) Il tempo di tale evoluzione sarebbe quello della vita precoce, il luogo quello della relazione madre-bambino.
5) La psicopatologia si configurerebbe come conseguenza di alterazioni del rapporto tra madre e bambino e quindi di difficoltà nello svolgersi dello sviluppo preedipico piuttosto che edipico.
D'altra parte Balint (1937) già aveva sostenuto che esistono precocemente relazioni oggettuali, ad esempio nel lattante, quindi un "amore oggettuale primario" sarebbe in pratica inconciliabile con la nozione di narcisismo primario: separatezza e rapporto intersoggettivo sono i risultati comuni dell'attuale ricerca psicoanalitica incentrata sull'osservazione del neonato.
T r e v a r t h e n (1977) ha parlato, a proposito
della interazione madre-bambino, di "intersoggettività primaria", in
evidente contrapposizione al concetto di "narcisismo primario" e con
specifici riferimenti alla relazione oggettuale.Emde e Robinson
(1979), in una disamina di oltre trecento studi, hanno rilevato
l'estrema diffusione, derivante dal concetto di narcisismo primario,
del pregiudizio relativo al lattante considerato passivo ed
indifferente concludendo che l'idea del neonato regolato da pulsioni e
scariche è insostenibile.
Brazelton e Als (1979) hanno rilevato risposte affettive già nei primi momenti successivi la nascita.
Già Winnicott (1951) aveva sostenuto che le cure
materne rappresentano una componente essenziale senza la quale non
potrebbe esistere alcun bambino, prendendo a sua volta radicalmente le
distanze dal concetto di narcisismo primario di Freud.
In genere tutti gli autori che hanno privilegiato le teorie delle relazioni oggettuali si sono, esplicitamente o meno, opposti al concetto freudiano di narcisismo primario ed a quello del primato pulsionale.
Parlando di relazioni oggettuali come modello
mentale diverso rispetto a quello pulsionale è opportuno brevemente
parlare della teoria di Winnicott relativa alla
"preoccupazione materna primaria". Per Winnicott l'aspetto relazionale è
fondamentale: Winnicott ritenne che nel neonato già potesse esistere
una vita psichica, affermando contemporaneamente però che il neonato
non esiste se non in relazione ad una madre che se ne prende cura. Il
funzionamento psichico si struttura su quello che Winnicott chiama sé,
istanza psichica preliminare alla costituzione dell'io: con il
termine sé Winnicott indica il senso di continuità garantito dalle
capacità di adattamento della madre verso il bambino. Questa consente
al neonato l'illusione che il seno sia parte di lui: "... la madre pone
il seno laddove il bambino è pronto a crearlo, e nel momento giusto".
(1964).
L'illusione permette al bambino di esprimere una creatività primaria personale e la madre favorirà poi, progressivamente, una graduale disillusione consentendo la individuazione del bambino. Lo stato definitivo come "preoccupazione materna primaria" è quello in cui la madre sviluppa una sorprendente capacità di identificarsi con il bambino, fatto che le permette di prendersene adeguatamente cura. Prendersi cura assume per Winnicott il significato di abbracciare, contenere, ed il contenimento delle braccia materne sostituisce in qualche modo il contenimento della parete uterina. Il contenimento ha la funzione di lo ausiliario che consente lo sviluppo adeguato del rudimentale lo del bambino. I concetti di illusione - sostegno nella relazione materna conducono alla relazione oggettuale, modificazione legata al passaggio dalla fusione alla separazione.
L'illusione permette al bambino di esprimere una creatività primaria personale e la madre favorirà poi, progressivamente, una graduale disillusione consentendo la individuazione del bambino. Lo stato definitivo come "preoccupazione materna primaria" è quello in cui la madre sviluppa una sorprendente capacità di identificarsi con il bambino, fatto che le permette di prendersene adeguatamente cura. Prendersi cura assume per Winnicott il significato di abbracciare, contenere, ed il contenimento delle braccia materne sostituisce in qualche modo il contenimento della parete uterina. Il contenimento ha la funzione di lo ausiliario che consente lo sviluppo adeguato del rudimentale lo del bambino. I concetti di illusione - sostegno nella relazione materna conducono alla relazione oggettuale, modificazione legata al passaggio dalla fusione alla separazione.
B i o n (1963) ha accantonato totalmente il
concetto di pulsione di morte attribuendo la priorità dello sviluppo
emozionale del bambino al concetto che ha definito di "reverie
materna", concetto analogo a quello, già espresso da Winnicott, di
"madre sufficientemente buona". Bion ritorna in qualche modo alla
antica contrapposizione tra principio di piacere (che definisce
desiderio) e principio di realtà, laddove il principio di realtà è
rappresentato, questa volta, dalla madre che può essere, o meno,
capace di adeguata "reverie". Vi è dunque, in Bion, un prioritario
interesse per le qualità dell'oggetto, interesse però che pare
stemperarsi intensamente quando afferma che ciò che vi è di centrale,
nel destino umano, è la capacità del bambino di far fronte alla realtà
ed alle frustrazioni, e che tale capacità è innata, ereditata
geneticamente. Atti comunicativi hanno luogo sin dalla nascita:
l'importanza di questi, derivata dalle conoscenze del rapporto
madre-bambino, è al centro dell'attenzione di tutte le teorie dello
sviluppo emozionale incentrate sulle relazioni oggettuali. Emde
(1981), sottolineando come il bambino, sin dal suo esordio nella vita,
sia pronto all'interazione sociale e partecipe degli scambi con
coloro i quali lo accudiscono, ha criticato anche il concetto di
"relazione oggettuale" come inadeguato a descrivere le capacità
interazionali del bambino ed anche a causa della gamma di significati
cui la dizione "relazione oggettuale" può condurre (il riferimento
agli oggetti kleiniani appare evidente).
Le problematiche relative alla reciprocità affettiva evidenziano anche i limiti della teoria della "libido" di Freud: S p i t z (1976) ha sottolineato come Freud abbia considerato l'oggetto libidico quasi esclusivamente dal punto di vista dei desideri inconsci del bambino, e non sullo sfondo della relazione reciproca madre-bambino; T h ó m a e K a chele (1985), a loro volta, sottolineano come il radicamento di questa stessa tradizione abbia consentito a Kohut di derivare l'oggetto-sé dallo stesso, ipotetico, esperire narcisistico del bambino. Me 1 t z -e r (1992) ha affermato che l'evoluzione psicopatologica nell'essere umano è secondaria, più che alla esistenza di un istinto di morte, al fallimento relazionale, la cui conseguenza è quella di condurre verso una condizione narcisistica.
Non vi è dubbio chele idee espresse dai teorici delle "relazioni oggettuali" abbiano rappresentato un notevole progresso rispetto alle iniziali concettualizzazioni di Freud per il quale la pulsione di morte, oltre ad esprimere la tendenza istintuale conservatrice degli esseri viventi, esprime anche, dal punto di vista pulsionale vero e proprio, la condizione di narcisismo primario che può essere considerata alla base di tutto il successivo sviluppo della teoria psicoanalitica. Se le formulazioni espresse dalla psicologia dell'io potevano essere con facilità integrate nella teoria pulsionale freudiana, considerate un completamento di questa, la teoria della relazioni oggettuali può invece essere ragionevolmente ritenuta un cambiamento di paradigma della teoria psicoanalitica. Nel senso che il primato etiologico dello sviluppo umano spetta non alle vicissitudini del soddisfacimento pulsionale ma alla qualità affettiva delle originarie relazioni oggettuali. È cioè la qualità dell'oggetto ad evere significatività primaria.
In base alla teoria delle relazioni oggettuali, uno
stabile e definito senso di sé può essere ottenuto solo ed
esclusivamente nel contesto di una relazione oggettuale valida e
sostenente. Un mondo psichico privo di relazioni oggettuali sarebbe, in
questo senso, di per sé schizoide, ed un adeguato senso di sé sarebbe
possibile solo nell'ambito di una relazione d'oggetto soddisfacente.
Sottolineare cioè l'importanza di relazioni oggettuali vere (rispetto a
quelle della Klein, nelle quali il narcisismo primario esce dalla
porta per subito rientrare, prepotentemente, dalla finestra) è
sen'altro fondamentale ai fini della comprensione dello sviluppo
umano: tuttavia G r e e n (1991) ha sottolineato il rischio di
ipervalorizzare l'oggetto e di svilire, conseguentemente, il ruolo
svolto dalle pulsioni: l'oggetto infatti può essere considerato, in base
alle sue qualità, il rivelatore dell'esistenza delle pulsioni.
Analogamente M a n c i a (1992) ha sostenuto che la teoria delle
relazioni oggettuali "... non può reggersi da sola, in quanto
l'oggetto, senza la pulsione, sembra privo di vita".
Pur introducendo dunque, con tutto ciò, un
indispensabile ampliamento della teoria pulsionale sottolineando
l'importanza delle relazioni oggettuali, rimane comunque la necessità che teoria pulsionale e teoria delle relazioni oggettuali vengano integrate.
Possiamo ritenere infatti che la psicopatologia
psicoanalitica incentrata sulla teoria del conflitto debba partire dal
presupposto che non possono esistere disturbi nelle relazioni
oggettuali in modo indipendente rispetto a conflitti pulsionali.
BibliografiaB a l i n t M., (1937) - Primi stadi dello sviluppo dell'io. L'amore oggettuale primario, in: "L'amore primario, gli inesplorati confini tra biologia e psicoanalisi", Guaraldi, Rimini, 1973.
B i o n W.R. (1963) - Gli elementi della psicoanalisi, Armando, Roma, 1973.
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F r e u d S. (1914) -Introduzione al narcisismo, OSF vol. VII, Boringhieri, Torino.
F r e u d S. (1914) -Introduzione al narcisismo, OSF vol. VII, Boringhieri, Torino.
F r e u d S. (1915) - Pulsioni e loro destini, OSF vol. VIII, Boringhieri, Torino.
F r e u d S. (1920) - Al di là del principio di piacere, OSF vol. IX, Boringhieri, Torino.
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G l o v e r E. - Klein System of child Psychology, in: "Psychoan. Study of the Child", 1, 1945.
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K 1 e i n M. - Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino, 1978.
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W i n n i c o t t D.W. (1964) - Il neonato e la madre, in: "I bambini e le loro madri", Cortina, Milano, 1987.
mercoledì 10 ottobre 2018
Aspetti particolari in alcune situazioni di psicoterapia
Qualche considerazione su aspetti specifici in alcune situazioni di terapia (Vedi anche la pagina del sito su: Psicoterapia)
Pazienti affetti da depressione
Uno dei più importanti fattori da valutare, specie inizialmente, nella terapia con i pazienti depressi è determinarne il rischio di suicidio. Il medico dovrebbe porre domande esplicite volte a identificare sentimenti di inutilità, scoraggiamento e pessimismo. Una profonda sensazione di disperazione è un segno inquietante che molti psichiatri considerano patognomonico di rischio di suicidio. Una storia di precedenti tentativi di suicidio, la presenza di malattie croniche, soprattutto se associate a dolore, un recente evento stressante, come la perdita di una persona amata o una storia familiare di suicidio, sono indicatori di un aumentato rischio. Il mito secondo cui porre domande sull'ideazione suicida possa indurre un tentativo di suicidio non dovrebbe impedire ai medici di chiedere se i pazienti pensano che non valga la pena di vivere la vita, se vogliono farsi del male o se desiderano morire.
I pazienti depressi spesso chiedono rassicurazione, ma sovente non rispondono ai tentativi del medico di venire incontro a questa esigenza. I medici dovrebbero offrire ai pazienti una valutazione realistica. Quando è presente una depressione anche grave, i medici dovrebbero esprimersi con estrema chiarezza con i prori pazienti, spiegando l'intervento terapeutico stabilito, come la psicoterapia o la farmacoterapia. E' sempre da ricordare, e sottolineare, il fatto che la depressione è curabile nel 95% dei casi. Nel Sito la pagina su: Disturbi Depressivi
Pazienti affetti da Disturbo Istrionico
I pazienti istrionici (vedi) agiscono spesso in modo seduttivo con i medici, perché hanno una necessità inconscia di essere rassicurati del fatto che sono ancora attraenti, anche se ammalati, e perché temono di non essere presi sul serio se non vengono considerati sessualmente desiderabili. Spesso appaiono eccessivamente emotivi e intimi nelle loro interazioni con il medico. È necessario che quest'ultimo sia rassicurante, fermo e non ne raccolga l'atteggiamento provocatorio. In realtà, il paziente non vuole veramente sedurlo, ma non conosce altro modo per ottenere ciò che ritiene gli sia necessario. Nel sito la pagina su: Istrionismo (Disturbo Istrionico)
Pazienti affetti da Disturbo ossessivo
I pazienti ossessivi (vedi) e controllati sono ordinati, puntuali ed eccessivamente preoccupati dei dettagli. Spesso appaiono freddi, addirittura distaccati, soprattutto verso tutto ciò che potenzialmente li potrebbe disturbare o spaventare. Possono essere resistenti a qualsiasi tentativo di controllo da parte del medico, perché hanno un'intensa necessità di controllare ogni cosa nel loro ambiente. Al di sotto della superficie, temono tuttavia di perdere il controllo e di risultare dipendenti e indifesi. I medici devono essere preparati a rinforzare almeno inizialmente il loro senso di controllo, coinvolgendoli il più possibile nell'assistenza e nel trattamento, e dovrebbero spiegare in dettaglio che cosa avverrà e quali sono i programmi terapeutici. Nel sito la pagina sui Disturbi Ossessivo-Compulsivi
Pazienti paranoidi
I pazienti paranoidi possono facilmente fraintendere ciò che accade nel loro ambiente, fino al punto da vedere cospirazioni anche negli eventi più neutri. Sono critici, evasivi e sospettosi. Hanno spesso un atteggiamento eccessivamente recriminatorio, perché tendono a criticare gli altri per qualsiasi cosa negativa che accade nella loro vita. Sono estremamente diffidenti e talvolta discutono su qualsiasi cosa il medico proponga di fare. Con questo tipo di pazienti, il medico deve rimanere in qualche modo formale, anche se sempre rispettoso e cortese, poiché le espressioni di calore ed empatia sono spesso considerate con sospetto ("che cosa vuole da me?"). Come con i soggetti ossessivi, il medico dovrebbe essere preparato a spiegare in dettaglio ogni decisione e procedura programmata e non dovrebbe reagire in modo difensivo nei confronti dei loro sospetti.
Pazienti isolati
I pazienti isolati e solitari, definiti personalità schizoidi, appaiono distaccati e introversi e non sembrano aver bisogno del contatto con gli altri esseri umani né lo ricercano. Vedono con avversione uno stretto contatto con il medico e se potessero preferirebbero assumere da soli l'intero controllo della propria assistenza. Il medico dovrebbe trattarli con il massimo rispetto per la loro intimità e non dovrebbe aspettarsi che reagiscano in modo amichevole alle sue premure.
Pazienti simulatori
I pazienti simulatori sono spesso descritti nella terminologia psichiatrica come personalità antisociali; non sembrano essere in grado di avvertire un adeguato senso di colpa e, in realtà, non sono consapevoli di ciò che esso significhi. In superficie possono apparire piacevoli, socialmente adattabili e intelligenti, ma nel corso degli anni hanno perfezionato i comportamenti che sanno essere più appropriati e recitano proprio come attori. Spesso hanno un passato di atti criminosi e vivono tra menzogne e manipolazioni. Possono essere autodistruttivi e pericolosi non solo per gli altri ma anche per se stessi, forse manifestando una non riconosciuta espressione di autopunizione. I pazienti antisociali spesso simulano la malattia per ottenere un evidente guadagno secondario (ad esempio, ricevere farmaci, trovare un letto per la notte, nascondersi da persone che li stanno cercando). Ovviamente, è possibile che si ammalino realmente, proprio come le persone non antisociali e, quando sono ammalati, hanno bisogno della stessa assistenza degli altri. Il medico deve trattarli con rispetto, ma anche con maggiore vigilanza. Possono ispirare paura negli altri, spesso legittimamente, perché molti hanno storie violente.
Pazienti dipendenti
I pazienti dipendenti hanno un enorme bisogno di rassicurazione e tuttavia sono spesso resistenti a tale offerta. Sono i pazienti che più spesso fanno chiamate ripetute e urgenti nel periodo che intercorre fra gli appuntamenti e che chiedono che il medico dedichi loro particolare attenzione. Spesso si arrabbiano o si spaventano se si accorgono che il medico non prende in seria considerazione i loro timori. Il medico deve essere preparato a definire i limiti necessari, ma deve anche indicare chiaramente la propria volontà di ascolto e di assistenza.
Pazienti affetti da condizioni di impulsivita'
I pazienti impulsivi hanno difficoltà ad accettare le gratificazioni ritardate e pretendono che i loro disturbi siano immediatamente risolti. Vengono frustrati facilmente e possono diventare petulanti o persino adirati e aggressivi se non ottengono immediatamente ciò che desiderano. Possono compiere impulsivamente azioni autodistruttive se si sentono ostacolati dal medico e talora si mostrano manipolativi ed egocentrici. È probabile che, al di sotto di queste manifestazioni esteriori, abbiano paura di non ottenere dagli altri ciò di cui hanno bisogno e, pertanto, ritengano che sia necessario agire in modo così inappropriatamente aggressivo. Possono essere particolarmente difficili da trattare per qualsiasi medico, il quale deve porre limiti fermi sin dall'inizio, senza adirarsi, e definire chiaramente quali comportamenti sono accettabili e quali no. I pazienti vanno trattati con rispetto e attenzione, ma devono essere considerati responsabili dello loro azioni.
Pazienti affetti da depressione
Uno dei più importanti fattori da valutare, specie inizialmente, nella terapia con i pazienti depressi è determinarne il rischio di suicidio. Il medico dovrebbe porre domande esplicite volte a identificare sentimenti di inutilità, scoraggiamento e pessimismo. Una profonda sensazione di disperazione è un segno inquietante che molti psichiatri considerano patognomonico di rischio di suicidio. Una storia di precedenti tentativi di suicidio, la presenza di malattie croniche, soprattutto se associate a dolore, un recente evento stressante, come la perdita di una persona amata o una storia familiare di suicidio, sono indicatori di un aumentato rischio. Il mito secondo cui porre domande sull'ideazione suicida possa indurre un tentativo di suicidio non dovrebbe impedire ai medici di chiedere se i pazienti pensano che non valga la pena di vivere la vita, se vogliono farsi del male o se desiderano morire.
I pazienti depressi spesso chiedono rassicurazione, ma sovente non rispondono ai tentativi del medico di venire incontro a questa esigenza. I medici dovrebbero offrire ai pazienti una valutazione realistica. Quando è presente una depressione anche grave, i medici dovrebbero esprimersi con estrema chiarezza con i prori pazienti, spiegando l'intervento terapeutico stabilito, come la psicoterapia o la farmacoterapia. E' sempre da ricordare, e sottolineare, il fatto che la depressione è curabile nel 95% dei casi. Nel Sito la pagina su: Disturbi Depressivi
Pazienti affetti da Disturbo Istrionico
I pazienti istrionici (vedi) agiscono spesso in modo seduttivo con i medici, perché hanno una necessità inconscia di essere rassicurati del fatto che sono ancora attraenti, anche se ammalati, e perché temono di non essere presi sul serio se non vengono considerati sessualmente desiderabili. Spesso appaiono eccessivamente emotivi e intimi nelle loro interazioni con il medico. È necessario che quest'ultimo sia rassicurante, fermo e non ne raccolga l'atteggiamento provocatorio. In realtà, il paziente non vuole veramente sedurlo, ma non conosce altro modo per ottenere ciò che ritiene gli sia necessario. Nel sito la pagina su: Istrionismo (Disturbo Istrionico)
Pazienti affetti da Disturbo ossessivo
I pazienti ossessivi (vedi) e controllati sono ordinati, puntuali ed eccessivamente preoccupati dei dettagli. Spesso appaiono freddi, addirittura distaccati, soprattutto verso tutto ciò che potenzialmente li potrebbe disturbare o spaventare. Possono essere resistenti a qualsiasi tentativo di controllo da parte del medico, perché hanno un'intensa necessità di controllare ogni cosa nel loro ambiente. Al di sotto della superficie, temono tuttavia di perdere il controllo e di risultare dipendenti e indifesi. I medici devono essere preparati a rinforzare almeno inizialmente il loro senso di controllo, coinvolgendoli il più possibile nell'assistenza e nel trattamento, e dovrebbero spiegare in dettaglio che cosa avverrà e quali sono i programmi terapeutici. Nel sito la pagina sui Disturbi Ossessivo-Compulsivi
Pazienti paranoidi
I pazienti paranoidi possono facilmente fraintendere ciò che accade nel loro ambiente, fino al punto da vedere cospirazioni anche negli eventi più neutri. Sono critici, evasivi e sospettosi. Hanno spesso un atteggiamento eccessivamente recriminatorio, perché tendono a criticare gli altri per qualsiasi cosa negativa che accade nella loro vita. Sono estremamente diffidenti e talvolta discutono su qualsiasi cosa il medico proponga di fare. Con questo tipo di pazienti, il medico deve rimanere in qualche modo formale, anche se sempre rispettoso e cortese, poiché le espressioni di calore ed empatia sono spesso considerate con sospetto ("che cosa vuole da me?"). Come con i soggetti ossessivi, il medico dovrebbe essere preparato a spiegare in dettaglio ogni decisione e procedura programmata e non dovrebbe reagire in modo difensivo nei confronti dei loro sospetti.
Pazienti isolati
I pazienti isolati e solitari, definiti personalità schizoidi, appaiono distaccati e introversi e non sembrano aver bisogno del contatto con gli altri esseri umani né lo ricercano. Vedono con avversione uno stretto contatto con il medico e se potessero preferirebbero assumere da soli l'intero controllo della propria assistenza. Il medico dovrebbe trattarli con il massimo rispetto per la loro intimità e non dovrebbe aspettarsi che reagiscano in modo amichevole alle sue premure.
Pazienti simulatori
I pazienti simulatori sono spesso descritti nella terminologia psichiatrica come personalità antisociali; non sembrano essere in grado di avvertire un adeguato senso di colpa e, in realtà, non sono consapevoli di ciò che esso significhi. In superficie possono apparire piacevoli, socialmente adattabili e intelligenti, ma nel corso degli anni hanno perfezionato i comportamenti che sanno essere più appropriati e recitano proprio come attori. Spesso hanno un passato di atti criminosi e vivono tra menzogne e manipolazioni. Possono essere autodistruttivi e pericolosi non solo per gli altri ma anche per se stessi, forse manifestando una non riconosciuta espressione di autopunizione. I pazienti antisociali spesso simulano la malattia per ottenere un evidente guadagno secondario (ad esempio, ricevere farmaci, trovare un letto per la notte, nascondersi da persone che li stanno cercando). Ovviamente, è possibile che si ammalino realmente, proprio come le persone non antisociali e, quando sono ammalati, hanno bisogno della stessa assistenza degli altri. Il medico deve trattarli con rispetto, ma anche con maggiore vigilanza. Possono ispirare paura negli altri, spesso legittimamente, perché molti hanno storie violente.
Pazienti dipendenti
I pazienti dipendenti hanno un enorme bisogno di rassicurazione e tuttavia sono spesso resistenti a tale offerta. Sono i pazienti che più spesso fanno chiamate ripetute e urgenti nel periodo che intercorre fra gli appuntamenti e che chiedono che il medico dedichi loro particolare attenzione. Spesso si arrabbiano o si spaventano se si accorgono che il medico non prende in seria considerazione i loro timori. Il medico deve essere preparato a definire i limiti necessari, ma deve anche indicare chiaramente la propria volontà di ascolto e di assistenza.
Pazienti affetti da condizioni di impulsivita'
I pazienti impulsivi hanno difficoltà ad accettare le gratificazioni ritardate e pretendono che i loro disturbi siano immediatamente risolti. Vengono frustrati facilmente e possono diventare petulanti o persino adirati e aggressivi se non ottengono immediatamente ciò che desiderano. Possono compiere impulsivamente azioni autodistruttive se si sentono ostacolati dal medico e talora si mostrano manipolativi ed egocentrici. È probabile che, al di sotto di queste manifestazioni esteriori, abbiano paura di non ottenere dagli altri ciò di cui hanno bisogno e, pertanto, ritengano che sia necessario agire in modo così inappropriatamente aggressivo. Possono essere particolarmente difficili da trattare per qualsiasi medico, il quale deve porre limiti fermi sin dall'inizio, senza adirarsi, e definire chiaramente quali comportamenti sono accettabili e quali no. I pazienti vanno trattati con rispetto e attenzione, ma devono essere considerati responsabili dello loro azioni.
Il Paradiso Perduto di Otto Rank
Una mia pubblicazione in tema di teoria psicoanalitica
MODELLI DI NASCITA IN PSICOANALISI: IL PARADISO PERDUTO DI RANK
detta 'dei Fisiocritici' Atti dell'Adunanza Scientifica del 6.12.1994 Serie XV, Tomo XIII, 1994
La teoria di Rank poneva il trauma
della nascita come evento fondamentale dello sviluppo psichico umano.
Merito di Rank è stato quello di aver posto attenzione alle fasi più
precoci dello sviluppo. Ridimensionata successivamente l'importanza
del trauma, gran parte della tradizione psicoanalitica odierna si
interessa dell'evento 'nascita' come organizzatore della vita psichica.
Otto Rank, nel 1924, da alle stampe "Il Trauma della
Nascita". Il libro venne inizialmente accolto con favore da Freud che
in seguito, al contrario, vi si opporrà con estrema fermezza. Il libro
di Rank può essere a ragione considerato un tentativo di riformulare
teoria e prassi psicoanalitica, in base all'assunto che ogni essere
umano soffre, alla nascita, il più intenso trauma della vita, trauma
mai completamente superato e responsabile dell'inconscio universale
desiderio di ritorno nel grembo materno. Pur potendosi ritrovare, nel
corso della trattazione, numerosi riferimenti a Freud, la teoria di
Rank si presentava come ulteriore sviluppo della psicoanalisi e
negava, implicitamente, numerosi assunti della teoria freudiana.
Rank fonda la sua teoria su un trauma reale, quello della nascita, trauma posto nel luogo della causalità generale, ai confini tra biologico e psichico: è alla nascita che si connette la dinamica psichica nella sua totalità, che è finalizzata al superamento dell'angoscia originaria nel tentativo di ricomporre l'unità di tale primo fatale distacco. La dimensione filogenetica in Rank è assente, la storia dell'uomo è tutta scritta nella sua ontogenesi. Scopo dichiarato di Rank è quello di focalizzare l'attenzione sulla legge, biologicamente fondata secondo le sue stesse parole, che determina la fondazione dei contenúti psichici: è questo il nocciolo dell'inconscio, le fondamenta dell'edificío analitico innalzato da Freud.
Rank evidenzia come i processi di guarigione siano rappresentati, nell'inconscio, dal simbolismo tipico della nascita. Analogamente, una delle massime difficoltà a porre termine al trattamento analitico è rappresentata da una forma particolare di transfert che riproduce la fissazione alla figura materna: il distacco dalla figura dell'analista riproduce, per Rank, il primo distacco, dal primo oggetto d'amore: è il neonato, che deve staccarsi dalla madre. Il senso quindi del lavoro analitico è quello di far ripetere, con maggior successo, questo distacco, a suo tempo imperfetto. Ora, accade appunto che sin dall'inizio i pazienti identificano la situazione analitica con quella intrauterina, ponendosi nella situazione del bambino non ancora nato. Il setting stesso, nota Rank, si presta a questo vissuto.
Il problema dell'angoscia si pone nei termini in cui ogni forma di angoscia altro non è che la ripetizione dell'angoscia della nascita. Analogamente, ogni forma di piacere deriva, in estrema analisi, dalla tendenza a riprodurre il primo piacere, quello dell'esistenza all'interno del corpo della madre. In questo contesto è evidente come l'angoscia di castrazione assumesse un
significato dei tutto secondario, poiché è essa stessa conseguenza della castrazione originaria, quella della separazione del bambino dalla madre. Questa è in qualche modo responsabile anche dell'angoscia, vissuta questa volta in piena consapevolezza e quindi suscettibile di rimozione, che deriva dal trauma dello svezzamento, trauma secondario, che riattiva l'angoscia della nascita.
Vi è poi la problematica edipica, da affrontare secondo questo nuovo punto di vista, ed è ovvio come, gia a questo punto, la condizione di inconciliabilità nei confronti della teorizzazione freudiana sia insanabile; dice Rank:
"... gia al fondo della leggenda di Edipo troviamo l'oscura e fatale questione dell'origine dell'uomo... Edipo ritorna veramente nel ventre della madre... giacché la sua cecità rappresenta proprio il buio che avvolge il feto all'interno del corpo materno... siamo così arrivati a comprendere il senso psico-biologico di quella fase dello sviluppo normale dell'individuo che è il complesso di Edipo; scorgiamo cioé, in questo complesso, il primo tentativo di superare l'angoscia connessa coi genitali (materni), investendoli come oggetto libidico."(1924)
La centralità del complesso edipico lascia quindi il posto all'angoscia del trauma della nascita; svezzamento e separazione sono nient'altro che la ripetizione di questo primo trauma; l'angoscia è sempre legata alla prima, fondamentale separazione.
Nei sogni che si possono definire di "appagamento del desiderio" si ripropone, regolarmente, la permanenza nel ventre materno. Nei sogni d'angoscia, al contrario, si riproduce il trauma della nascita. Il nucleo simbolico dell'angoscia originaria è l'immagine della sfinge; figura metà animale e metà essere umano, rappresenta contemporaneamente l'angoscia e la madre strangolatrice, ovvero l'atto della nascita. La sfinge, per Rank, ispira gia nell'aspetto l'angoscia: l'atto della nascita e la tendenza che lo contrasta. La parte superiore, umana, del corpo, emerge da quella inferiore, animale-materna, senza possibilità di una separazione. Questo è, per Rank, l'enigma della sfinge.
Rank definisce poi il mito come una forma di creazione umana del mondo che si forgia sul modello della propria creazione, ovvero come estensione antropomorfica dell'idea che l'uomo ha della propria creazione.
E l'analisi di Rank si spinge, dopo il sogno e la patologia, ad esplorare quello che definisce l'adattamento simbolico: le produzioni umane sono tutte, senza eccezioni, un progressivo ampliamento della situazione originaria nonché una sua formazione sostitutiva. L'adattamento culturale (espresso dall'equazione madre-materia) comporta uno spostamento della libido, con un graduale allontanamento della madre-materia originaria, e coincide con la posizione eretta dell'uomo, passo decisivo verso l'umanizzazione. I simboli rappresentano, contemporaneamente, il tèntativo di mantenere un legame con la perduta realtà originaria, e quello di allontanare il ricordo del trauma ad essa realtà legato. L'uomo quindi struttura la realtà che lo circonda sul calco fornitogli dal proprio inconscio. In sintesi, l'agire umano sarebbe un tentativo di riprodurre la situazione originaria, in un continuo compromesso tra la tendenza al ritorno alla madre e la necessità di separarsene. La natura è vissuta dall'uomo come una sostituzione della madre; qualora tali formazioni sostitutive si rivelino insufficienti, la produzione materiale dell'uomo così come l'elaborazione culturale tentano di supplire questa carenza. La produzione culturale, dunque, non è solo una forma di adattamento dell'uomo alla realtà, ma anche una forma di adattamento della realtà all'inconscio: e questi, l'inconscio, è la nascita.
In sintesi quindi Rank evidenzia l'importanza fondamentale del trauma della nascita, la rimozione e la ricomparsa di questa nel sogno, nel sintomo nevrotico, ma anche nell' adattamento simbolico e nella produzione artistica. Tutte le creazioni sociali dell'uomo scaturiscono come reazione specifica al trauma della nascita e come tentativo di. elaborazione di questo. La scoperta dell'importanza del trauma della nascita consente a Rank di ritenere di aver individuato il punto di partenza psico-fisiologico del trattamento analitico, e di aver chiarito il problema della conversione. Quindi, con la nozione di trauma della nascita e del precedente stato fetale, Rank ritiene di aver reso accessibile il terreno di frontiera della psicoanalisi, quello del rapporto mente-corpo.
La cosmogonia di Rank è. intrisa di tristezza, e di una struggente, ansiosa nostalgia del perduto paradiso terrestre. E' in questi termini infatti che Rank vive la condizione prenatale: l'Eden. Coerentemente, la nascita rappresenta per lui la cacciata da questo paradiso; al mito del paradiso terrestre Rank fa, tra l'altro, specifico riferimento. La religiosità implicita in questo modo di vedere riporta all'essenza della religione stessa, intesa come creazione di un essere originario, soccorrevole e protettivo, nel cui seno si può trovare rifugio nei momenti di bisogno e pena, e presso il quale si fa ritorno in quella vita ultraterrena che altro non è se non un'immagine sublimata del paradiso terrestre. Rank sostiene, in pratica, che all'atto della nascita il bambino subisce una deprivazione totale, con il mancato soddisfacimento di bisogni precedentemente soddisfatti. Per Rank sembra essere la stessa fisiologia del processo che, implicando la rottura della prenatale unità verso la dualità, struttura quello che definisce un proto-trauma, evento determinante in tutte le successive reazioni d'angoscia, interpretabili così come ripetizioni del proto-trauma.
Ora, è evidente che Rank sembra considerare come naturale una sorta di staticità nella condizione di vita prenatale: ciò che è implicitamente inevitabile, ovvero l'evento fisiologico del parto, è considerato da Rank come un turbamento, una rottura che sembra assumere i caratteri
dell'accidentalità. Sembra cioé che la condizione duale sia quella fisiologica, e la nascita, di per sé stessa, conseguenza di un'alterazione di tale equilibrio.
E' superfluo sottolineare come tale concezione parta da un vizio di fondo, che inficia tutta la successiva evoluzione del pensiero di Rank.
E' Platone, con il mito dell'androgino, evidentemente, ad imprimere questa direzione in Rank:
" Ciò che Platone intende per Eros è l'intensa nostalgia per uno stato perduto, meglio: per un'unità perduta, e per spiegare la natura dell'istinto sessuale ricorre alla famosa metafora di un essere primitivo diviso in due metà, di cui una anelerebbe a ricongiungersi con l'altra". (1924).
All'androginia fa infatti riferimento Platone per indicare la condizione originaria dell'uomo, prima ancora che gli dei infliggano a questi il dramma della separazione: dopo, una parte dell'uomo, che Platone definisce symbolon, cerca, attraverso l'amore, l'altra parte di sé.
Oggi la teoria di Rank, nonostante questi abbia influito su generazioni di psicoanalisti, non è più ritenuta valida: nel senso che di "trauma della nascita" si parla solo in relazione ad eventuali lesioni, fisiche o psichiche, che possano determinarsi al momento della nascita per effetto di un parto distocìco. Se il parto è normale, invece, di trauma della nascita non è possibile parlare.
Il mito platonico dell'androgino come recupero della originaria unità fusionale onnipotente del bambino nell'utero materno, pre-esistente all'esperienza della nascita, è ripreso da Fornari (1983) che considera la nascita, come Rank, esperienza mutilatrice. L'ipotetica mutilazione del sé conseguenza della nascita attiverebbe, per Fornari, il fantasma del desiderio di rientrare nel corpo materno come atto riparatorio alla catastrofe ontogenetíca della nascita. Fornari ha sostenuto, in pratica, una ipotesi analoga a quella di Rank: ha solamente definito, alla base del vissuto intrauterino, il "coindma originario" (ovvero un 'a priori', innato" nel bambino) il quale, attivandosi al momento della nascita, attirerebbe successivamente a sé, finalizzandola al recupero della situazione intrauterina, la totalità della successiva attivita psichica umana.
Eugenio Gaddini (1984) riferisce di come non venga più accettata la teoria della nascita come trauma, almeno come definita da Rank: l'idea che Gaddini propone della nascita è quella non del trauma ma del "dramma" fisiologico, dramma corrispondente al radicale mutamento delle precedenti modalità funzionali: dramma in quanto sconvolgimento del funzionamento precedente. La nascita, comportando la perdita del confine naturale e del limite del sé, promuoverebbe la differenziazione della funzione mentale simbolica, il cui fine è quello di favorire l'apprendimento del nuovo e la consapevolezza del cambiamento, quindi, in altre parole, l'acquísizione di significati psichici legati alla percezione del mondo esterno.
Gaddini ha anche affrontato il problema di come, a partire dal corpo, si strutturi la funzione mentale e della differenziazione tra nascita biologica e nascita psicologica; si è inoltre interessato dell'attività mentale primitiva e del primo formarsi della mente. Per questo Autore la vita e l'esistenza prenatale non richiedono, da parte del feto, alcun funzionamento mentale poiché tutto è gia organizzato e preordinato: alla base del comportamento fetale e del suo esperire senso-motorio esiste solo una predeterminazione genetica, che consente lo strutturarsi di una sorta di "memoria biologica" a sua volte responsabile della base dello apprendimento mentale evidenziabile alla nascita. Dopo la nascita, il bambino si trova in uno stato di "bisogno", una condizione di vulnerabilità che comporta la necessità di un adeguato accoglimento fornita dalla funzione materna. Il bambino secondo Gaddini perde, annaspando nell'aria, il confine naturale di sé poiché come tale concepisce il confine naturale dell'ambiente in cui si trovava. E' questa la prima mentalizzazione. La nascita rappresenta il momento in cui si può cominciare a pensare su quello che manca, piuttosto che su quello che c'era; la mente entra cioé in funzione non appena qualcosa di importante muta. Nella fase successiva la nascita si riproduce, nel rapporto con la madre, la vita fetale ma, adesso, con caratteristiche mentali. La madre funziona da contenitore, come l'utero in precedenza. Per Gaddini subito dopo la nascita non vi è, ancora, la possibilità di una percezione poiché è carente il senso del tempo, del sé separato e dello spazio esterno: per questo Autore la primitiva percezione è imitativa, nel senso che l'organismo reagisce agli stimoli esterni con modificazioni biologiche interne produttrici di sensazioni, ed a questo modello di funzionamento Gaddini da nome 'imitare per percepire'. Il corrispondente modello mentale, quello di 'imitare per essere' è caratterizzato dal fatto che .le modificazioni e le sensazioni corporee divengono, magicamente, esperienza di sé prodotta da sé, ed il cui significato è quello di sopperire autonomamente ai bisogni dell'organismo poiché non esiste ancora nel bambino la capacità di distinguere gli oggetti. L'imitare per essere per Gaddini crea la mente vera e propria. L'imitare per percepire è per Gaddini la base biologica, corporea, dell'imitare per essere che è a sua volta la base mentale sulla quale si struttura il funzionamento psichico. Gaddini ha dunque ripreso da Rank il problema della funzione mentale primitiva ed ha elaborato, dal primitivo trauma rankiano, il concetto di nascita come 'dramma'.
Vi sono, nonostante appunto la teoria di Rank sia ormai dimenticata ai più, numerose altre notazioni da fare in merito al trauma, che come gia sappiamo, è concetto antico quanto la stessa psicoanalisi.
Greenacre (1945) attribuisce al trauma stesso la funzione di organizzare e trasformare il narcisismo fetale, producendo o favorendo una tendenza narcisistica propulsiva, accelerante e stimolante il cervello ad organizzare il modello di angoscia.
Corrao (1984), sempre a proposito della nascita ed in sintonia con Greenacre, afferma che la violenza di un urto psichico con il mondo esterno può essere trasformata nell'efficacia teleonomica di un'organizzazione nuova. Oltre che di regressione quindi Corrao parla anche di una progressione traumatica che può valere per la possibilità di una teoria traumatica della conoscenza. In sintesi, quindi, il trauma inteso come evento in grado di favorire un cambiamento non necessariamente regressivo, ovvero non necessariamente permeato di istinto di morte, il trauma come organizzatore della vita psichica.
Anche Winnicott (1949) ha parlato di trauma della nascita, sebbene in termini diversi rispetto a Rank, ed in una accezione più vasta; anzitutto postulando l'idea di una nascita normale in cui il trauma è minimo.
Il bambino infatti all'interno del suo spazio vitale diventa "pronto, con il passare del tempo, a compiere il movimento per scoprire il mondo e il bambino che ha trovato il mondo in questo modo, diventa, con il tempo, pronto ad accogliere bene le sorprese che il mondo gli riserva". (1949)
Winnicott tende a ridimensionare il ruolo strettamente legato, nella genesi dell'angoscia, al solo fattore nascita, sottolineando anche l'importanza di altri fattori, quali l'esperienza intrauterina e la disponibilità della madre. Trova comunque conferma che l'esperienza della nascita è spesso significativa, anche se non necessariamente in senso traumatico, e che il suo ricordo costituisce sempre materiale analitico.
Winnicott introduce il concetto di "esperienza della nascita" oltre a quello di "trauma" della nascita.
"E' possibile che l'esperienza della nascita sia così dolce e piana da essere relativamente poco importante; al contrario, l'esperienza della nascita anormale oltre un certo limite si trasforma in un trauma e diventa di conseguenza estremamente importante." (1949)
Distingue quindi tre esperienze diverse legate alla nascita: una nascita normale e sana, valida e di limitata importanza (in senso traumatico); nascita moderatamente traumatica mescolata ad altri fattori ambientali più o meno traumatici che il trauma possono rinforzare; nascita come esperienza francamente traumatica. La tesi sostenuta da Winnicott è che le esperienze della nascita normale "siano buone e possano favorire la forza e la stabilità dell'lo".
Ipotizza uno "stato mentale" del nascituro ed uno sviluppo dell'Io del bambino così come pure uno sviluppo emozionale legato alle modificazioni ambientali della condizione intrauterina. Introduce quindi il concetto che stimoli intrauterini possono divenire dannosi già nella vita fetale se eccessivi, in quanto suscettibili di produrre reazioni che a loro volta possono produrre perdite di identità. Ipotizza che il nascituro venga progressivamente coinvolto nel rapporto con l'ambiente, man mano che la nascita si avvicina. Quindi considera, in pratica, l'esperienza della nascita come un qualcosa di ingrandito che è peraltro gin noto al bambino. La nascita quindi non si pone per Winnicott come una interferenza ad un procedere naturale e consequenziale, così potente da interrompere la continuità dello sviluppo personale del bambino. Il periodo del travaglio di parto esaspera l'intensità. del cambiamento, e si pone come fattore psicologicamente traumatico solo nella misura in cui la nascita abbandona una progressione naturale.
II problema quindi che affronta Winnicott è quello della continuità dell'essere: i traumi si pongono come 'interruzioni' di essa continuita; com'è evidente, una posizione antitetica rispetto a quella espressa da Greenacre.
A Rank si deve riconosce il merito di aver contribuito ad indirizzare lo sviluppo del pensiero psicoanalitico a ritroso, verso fasi sempre più precoci dell'esistenza umana e sino, appunto, al momento della nascita. Esistono, nella teoria di Rank, degli elementi che riteniamo importante sottolineare; il fatto, ad esempio, che Rank si opponga al punto di vista filogenetico, secondo il quale esisterebbe un patrimonio psichico innato, è di estrema utilità poiché rappresenta lo stimolo a ripercorrere lo sviluppo infantile sino allo stato prenatale.
Il secondo punto è il riferimento all'originaria unità psicofisica dell'uomo: Rank individua nell'atto del nascere il terreno di frontiera della psicoanalisi, l'essenza del rapporto mente - corpo, il substrato dello psiche - soma. Questo problema, a sua volta, conduce all'intuizione, da parte di Rank, che il primo atto psichico avviene alla nascita. Il problema è che Rank ritiene esso atto psíchico quello dell'angoscia, che sostiene essere il primo-contenuto della percezione. Addirittura, nella concezione di Rank l'angoscia assume anche un significato teleonomico, poiché spegne il ricordo della condizione precedente impedendo l'innata (per quanto solo in senso ontogenetico) tendenza regressiva dell'uomo che, diversamente, non sopporterebbe il vivere. Ovvero: vi sarebbe una naturale tendenza a ripristinare lo stato precedente; questa tendenza è limitata dalla condizione di angoscia intensa che accompagna la nascita e che comporterebbe, per Rank, una sorta di amnesia della precedente condizione di vita. Ciò è in perfetta sintonia con il concetto che vede la nascita esclusivamente come perdita e la nuova situazione come deprivazione.
Ciò di cui, in realta, Rank parla, altro non è se non l'istinto di morte: la tendenza ipotizzata da Rank al ritorno nel grembo materno è espressione istinto di morte.
"...ciò che da un punto di vista biologico ci appare come 'istinto di morte' non può tendere ad altro che a ricostituire lo stato di cui si è fatta esperienza prima della nascita".(1924)
Diversamente quindi da quanto ipotizzato da Freud in merito alle fasi dello sviluppo psichico, Rank ha per primo prestato attenzione a fasi estremamente precoci dello sviluppo: la tradizione inaugurata da Rank è stata, ed è tuttora, quanto mai ricca di contenuti e di ricerche. Si può ragionevolmente sostenere infatti che la totalità della tradizione psicoanalitica odierna incentrata sull'osservazione del neonato e sulle interazioni madre-bambino affondi le proprie radici nell'opera di Rank.
BIBLIOGRAFIA
Corrao F., Il trauma come evento organizzatore, in: (A cura di AA. VV.), Il trauma della nascita la nascita del trauma, Atti del convegno, IES Mercury, Roma, 1984
Fornari F., La lezione freudiana (Per una nuova psicoanalisi), Feltrinelli, Milano, 1983 Gaddini E., (1953-1985), Scritti, Milano, Cortina, 1989)
Gaddini E., Trauma della nascita e memoria della nascita, in: (A cura di AA. VV.) Il trauma della nascita la nascita del trauma, Atti del congresso, IES Mercury, Roma, 1984
Greenacre P., (1945), L'economia biologica della
nascita, in: Greenacre P., Trauma crescita personalità, Raffaello
Cortina, Milano, 1986
Rank O., (1924), Il trauma della nascita (Sua importanza per la psicoanalisi), SugarCo, Milano, 1993
Winnicott D.W., (1949), Ricordi della nascita, trauma della nascita e angoscia, in: Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1985
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