giovedì 11 ottobre 2018

Pulsioni e Oggetti

LA PSICOANALISI TRA PULSIONI E RELAZIONI D'OGGETTO
Rassegna studi psichiatrici, LXXXIII, 4, 1994, Siena

Il termine pulsione è utilizzato da F r e u d per indicare un fattore diverso e diversificabile dall'istinto: quest'ultimo è un comportamento animale fissato dalle leggi dell'ereditarietà, caratteristico della specie e preformato. La pulsione invece è una costituente psichica in grado di produrre uno stato di eccitazione che spinge l'organismo all'attività. La pulsione si differenzia dallo stimolo per il fatto di trarre origine da fonti di stimolazione interne al corpo, da cui l'individuo non si può sottrarre. Il concetto di pulsione è al limite tra psichico e somatico. Per comprendere appieno l'importanza del concetto di pulsione è opportuno accennare alla teoria freudiana dello sviluppo sessuale, ed al concetto di "narcisismo" a questa collegato.
Nel 1905 Freud pubblica i "Tre saggi sulla teoria sessuale" (1905): nel secondo di questi affronta il problema della sessualità infantile. Freud afferma che bocca e stadio orale sono il primo sviluppo della sessualità infantile la quale si sviluppa sulla fisiologia, è autoeorica e non conosce oggetti. Le fasi dello sviluppo della sessualità infantile vengono espresse come segue: vi sarebbe dapprima una fase di autoerotismo, durante il quale ogni parte del corpo può essere con­siderata erogena ma la cui sede abituale è la bocca, la cui mucosa esprime la sessualità e la soddisfazione di questa nell'attività della suzione (fase orale). A questa segue la fase anale, durante la quale il trattenere le feci rappre­senta la massima fonte di soddisfazione. Segue infine la fase genitale che può essere evidenziata dalla masturbazione. Il bambino per Freud durante queste fasi è un "polimorfo perverso", ovvero in lui sono presenti, almeno potenzialmente, tutte le perversioni. Sarà solo alla pubertà che il bambino potrà passare dalla condizione di auto-erotismo a quella di amore oggettuale, dalle pulsioni parziali alla loro integrazione; il proprio corpo ed il seno della madre sono il primo, indifferenziato, oggetto d'amore: dopo lo svezzamento la sessualità regredisce allo stato autoerotico, e solo successivamente sarà, di nuovo, rivolta ad oggetti esterni.
Nei "Tre saggi" viene espressa la teoria della "libido", termine che era già in uso, così come quelli di auto-erostimo e zona erogena. Il modello della libido, o "pulsione sessuale", era già stato tracciato da P 1 a t o n e, con il quale Freud condivide anche l'idea dell'originaria bisessualità degli esseri umani (il mito platonico dell'androgino). Anche che la pulsione sessuale fosse, originariamente, rivolta verso il pro­prio corpo anziché su oggetti esterni era un'idea già espressa da Ellis, che aveva già parlato sia dell'autoerotismo che del narcisismo.

È comunque Freud che pone la costruzione teorica in una sistematizzazione coerente. Freud costruisce dunque la sua teoria sullo sviluppo sessuale che definisce la sessualità infantile come "polimorfa perversa". Quest'idea nacque in Freud in considerazione del fatto che egli riteneva la configurazio­ne della sessualità adulta normale non come una necessità naturale ma come fenomeno culturale. Freud riteneva che il bambino fosse, per natura, orientato in senso narcisistico, ovvero sul proprio corpo, con una grande capacità di godimento fisico che solo successivamente veniva concentrata su di un or­gano particolare (i genitali) e subordinandola ad una meta (la funzione genitale, ovvero la procreazione) che è imposta non dal principio di piacere ma da quello di realtà. Dunque il lungo periodo dell'infanzia umana, con l'intensità delle cure materne che lo accompagnano e con il lungo prolungamento di queste, comporta l'intensa fioritura della sessualità infantile che deve però ridimensionarsi quando viene a contatto con il principio di realtà, frutto dell'educazione e della cultura. È opportuno altresì soffermarsi sul concetto di narcisismo primario poiché è particolarmente importante ai fini della comprensione della concezione di.Freud in merito ad oggetti e pulsioni. Il termine narcisismo appare per la prima volta, in Freud, nel 1909, per spiegare la scelta oggettuale degli omosessuali.
Il termine è ripreso da Havelock Ellis (1897) che lo aveva usato (Narcissus-like) per indicare un atteggiamen­to psicologico, l'amore verso l'immagine di se stessi, con un preciso riferimento al mito di Narciso. Nel 1914 Freud introduce il termine in uno scritto apposito. Freud infatti aveva presupposto l'esistenza di una fase dell'evoluzione sessuale, quella appunto del narcisismo, intermedia tra quella dell'autoerotismo e quella dell'amore oggettuale. Quello che Freud definisce narcisismo primario è uno stadio evolutivo precoce durante il quale il bambino investe tutta la sua libido su se stesso: l'io, in questo caso, è posto alla stregua di un oggetto esterno. Credo si possa esprimere nella maniera migliore ciò che Freud con precisione intende per narcisismo primario citando le parole stesse di Freud: "... Ci formiamo... il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti, ma che in sostanza persiste ed ha con gli investimenti d'oggetto la stessa relazione che il corpo di un organismo ameboidale ha con gli pseudopodi che emette" (1914). Il narcisismo secondario designerebbe invece un ripiegamento sull'io della libido, sottratta ai suoi investimenti oggettuali. Anche il termine auto erotismo è ripreso da H. Ellis: Freud nei "Tre saggi sulla teoria sessuale" utilizza il termine per descrivere la sessualità infantile in uno sta­dio talmente precoce da essere addirittura antecedente alla fase del narcisismo primario: le pulsioni sessuali, in questa fase, si soddisfano ciascuna per proprio conto, ciascuna attraverso componenti parziali. In seguito Freud abbandonerà, in pratica, la distinzione tra auto-erotismo e narcisismo, facendo coincidere tali fasi nell'evoluzione della sessualità. Comunque, in genere, Freud designa come narcisismo primario quella fase nella quale il bambino assume se stesso come oggetto d'amore, prima di scegliere oggetti esterni. Il periodo durante il quale questa fase si sviluppa sarebbe il primo stadio della vita, antecedente alla costituzione dell'io, ed il cui archetipo è quello della vita intrauterina.

Il concetto di narcisismo pone Freud, che lo ha introdotto, in difficoltà e determina una radicale trasformazione della originaria teoria pulsionale, che contemplava la contrapposizione tra principio di piacere e di realtà, verso la formulazione definitiva di questa, che vede la contrapposizione tra istinti di vita (eros) e di morte (thanatos), espressa in "Al di là del principio di piacere" (1920): si può riconoscere questa difficoltà nel fatto che è necessario spiegare come mai l'istinto sessuale possa trovare (o addirittura perché debba ricercare) il piacere fisico in una forma appropriata di unione con la realtà esterna, con l'altro: anche Freud si accorge che l'essere umano non ama solo se stesso, come riteneva, ma anche la madre che si prende cura di lui; Freud non riusciva cioè a spiegarsi, l'attaccamento della libido agli oggetti: "... possiamo addirittura porci il problema di dove sorga la necessità per la nostra vita psichica di andare oltre le frontiere del narcisismo e di applicare la libido agli oggetti; Attenendoci al nostro orientamento di pensiero dovremmo rispondere ancora una volta che tale necessità interviene quando l'investimento dell'io ha oltrepassato una certa misura." (1914). È quindi come qualcosa che trabocca, che non può ulteriormente essere trattenuto. Nell'impostazione concettuale di Freud il principio di realtà comincia dunque a non essere più così distinto dal principio di piacere: il principio di piacere, per esprimersi, necessita della presenza di un oggetto esterno. Freud ritenne tuttavia di essere posto in difficoltà dal concetto di narcisismo poiché se la libido narcisistica è rivolta verso il soggetto, allora non è possibile di­stinguerla dall'istinto di auto conservazione. Narcisismo, pulsioni ed oggetti sono dunque concetti strettamente correlati.

Il termine "oggetto" ha, nella psicoanalisi freudiana, almeno due diversi significati. Il primo è quello correlato alla pulsione: l'oggetto è ciò in cui e con cui la pulsione tende a raggiungere la soddisfazione. Analizzando il concetto di pulsione, Freud distinse oggetto e meta: l'oggetto, in questo senso, è il mezzo contingente di soddisfacimento: "... è l'elemento più variabile del­la pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento". (1915). Una siffatta definizione delle pulsioni e degli oggetti comporta, fondamentalmente e costantemente nell'opera di Freud, il carattere contingente ed "accessorio" degli oggetti: la libido, in altri termini, per Freud è alla ri­cerca del piacere, è in origine completamente orientata verso il soddisfacimento e verso la risoluzione delle tensioni. L'oggetto esiste come mezzo di de-tensione pulsionale. Il secondo significato del termine "oggetto" indica un qualcosa che prescinde dalla pulsione, ammesso che questa possa essere considerata in maniera indipendente rispetto agli oggetti: e designa ciò che per il soggetto è oggetto di attrazione e di amore. Ma questa seconda concezione, in Freud, è particolarmente sfumata, ed interessa fasi più tardive dello sviluppo: solo alla pubertà, infatti, interviene per Freud la scelta ogget­tuale. Nel bambino infatti le pulsioni vengono considerate parziali, ed i concetti di "auto-erotismo" e "narcisismo" indicano ambedue l'assenza di un orientamento oggettuale vero, rivolto verso l'atro. L'idea di pulsioni parziali introduce dunque un ulteriore aspetto del problema: spinge cioè a distinguere un oggetto propriamente pulsionale ed un oggetto d'amore vero e proprio: il primo è quello capace di procurare il soddisfacimento della pulsione in causa; il secondo è quello che soggiace alla dualità degli istinti e delle pulsioni di vita e di morte. Se l'oggetto parziale può essere considerato uno dei poli insuperabili della pulsione sessuale, d'altra parte la psicoanalisi freudiana pone anche l'oggetto totale inserito in una prospettiva narcisistica, ovvero come replica dell'io. Sappiamo infatti che l'io, nel narcisismo, è definito esso stesso come oggetto d'amore, e può, nella concezione di Freud, essere addirittura considerato prototipo di ogni ulteriore oggetto d'amore.

Quella che à stata definita teoria delle pulsioni contiene alcune tra le intuizioni più importanti di Freud, così come alcuni dei maggiori difetti teorici. È ciò che ha spinto molti ad un tentativo di abbandono della teoria stessa delle pulsioni, la quale, tuttavia, ha un enorme significato nella costruzione psicoanalitica intera.
La teoria delle pulsioni, così come formulata da Freud, può cogliersi nella sua interezza, e nelle sue conseguenze, nella teoria che venne successivamente formulata da Melanie Klein (1921-1958). Vi sono, in questa, delle differenze rispetto alla psicoanalisi freudiana, ma sono più apparenti che reali: la teoria delle pulsioni è infatti sostituita, almeno nei termini, dalla teoria dell'oggetto e quindi lo sviluppo emozionale sembra caratterizzato dalle relazioni oggettuali più che dallo sviluppo pulsionale. Inoltre la Klein parla di fantasie più che di rimozioni e definisce compito della psicoanalisi l'interpretazione di esse fantasie più che quella delle difese contro le pulsioni inconsce. I termini di "relazione oggettuale" e di "fantasia" sembrerebbero indicare una strutturazione teorica sensibilmente diversa rispetto a quella freudiana: tuttavia, per Klein, la dualità delle pulsioni di vita e di morte è operante sin dalle primissime fasi della vita e si espri­me sull'oggetto "seno", il primo oggetto del bambino, che viene ad essere scisso in seno buono (quello che nutre) e seno cattivo (quello che si ritira o si rifiuta). Analoga sorte subiscono tutti gli oggetti, sia quelli parziali che quelli totali, in un vero e proprio circolo vizioso in virtù del quale il bambino proietta il suo amore sull'oggetto buono e la sua aggressività su quello cattivo ed introietta l'amore dell'oggetto buono e la persecutorietà di quello cattivo. Lo sviluppo dell'io è un processo di continue introiezioni e proiezioni. Klein, al posto delle fasi dello sviluppo di Freud, introduce il termine di posizione: nei primi quattro mesi di vita il bambino attraversa, per Klein fisiologicamente, la posizione schizoparanoidea ovvero una fase di sviluppo durante la quale dominano i meccanismi di scissione dell'oggetto (schizo) ed il carattere persecutorio (paranoideo) di esso oggetto; tale prima fase viene "superata" da quella che Klein definisce "posizione depressiva" che si costituisce appunto al quarto mese di vita e che è caratterizzata da una attenuazione della scissione poiché il bambino scoprirebbe che seno buono e seno cattivo sono nient'altro che il medesimo seno: la madre cioè comincia ad es­sere percepita non come oggetto parziale ma come oggetto totale, con l'unica differenza però che l'angoscia, anziché persecutoria, diviene depressiva (per il pericolo che il bambino avvertirebbe di poter distruggere la madre nella sua totalità a causa del proprio sadismo). Anche la posizione successiva, che Klein definisce riparatoria, consisterebbe nel ripristino dell'integrità dell'oggetto-madre che avviene attraverso difese maniacali, oppure attraverso una realizzazione onnipotente, o ancora attraverso meccanismi ossessivi o, nella migliore delle ipotesi, attraverso il processo di sublimazione: meccanismi tutti, comunque, dettati da un originario ed irrisolvibile senso di col­pa.
La madrina del battesimo del neonato kleiniano è dunque la pulsione di morte freudiana, la cui intollerabile malvagità può essere sostenuta solo attraverso la scissione dell'oggetto in seno buono e seno cattivo. Il successivo adulto, sviluppatosi da siffatta teoria, vivrà un'esistenza tragica, nel continuo ed altrettanto inutile tentativo di riparazione dei danni immaginari prodotti dall'odio e dall'invidia, tentativo comunque destinato al più totale insuccesso. Tutto nasce, ancora una volta, dall'innato istinto di morte; tutto si svolge attraverso il meccanismo della proiezione di esso istinto su ipotetici oggetti i quali sembrano non avere, di per sé, alcuna capacità o coloritura affettiva. L'io, di fronte all'istinto di morte, lo deflette proiettandolo sul seno.

Si deve quindi considerare che Klein ignora totalmente il concetto di desiderio e, tanto meno, la possibilità di soddisfazione di esso. Ovvero: parlare in termini coerenti di rapporto oggettuale significa considerare l'esistenza di due soggetti diversi, in rapporto tra loro; ciascuno dei due con proprie carat­teristiche umane che non possono essere intese esclusivamente nei termini di presenza-assenza (fisica): il seno non è necessariamente buono solo in virtù del fatto di essere presente, così come non può essere considerato cattivo perché assente.
G a d d i n i (1984) ha sottolineato la possibilità dell'assen­za della madre ma anche che una madre fisicamente presente (che definisce biologica) non sia in grado di essere anche madre psicologica; analogamen­te, l'assenza fisica può essere presenza psichica (immagine interiore), e ciò accade se il seno che nutre ha soddisfatto il desiderio del bambino. G l o v e r (1945) ha criticato duramente il sistema concettuale della Klein: "... Invece che il trauma della nascita di Rank ci viene offerto il "trauma d'amore" del terzo mese (cioè il trauma della posizione depressiva) che influenza lo sviluppo successivo, come Rank pensava per il trauma della nascita... A mio parere il concetto del trauma d'amore del bambino di tre mesi, dovuto alla immaginaria distruzione ingorda di una madre che il bambino realmente ama, è una variante delle dottrina del peccato originale". L i c h t e n b e r g (1984) ha sottolineato come non vi sia pressoché alcun riscontro della fantasia kleiniana di distruzione proiettata sul seno ed introiettata attraverso il latte avvelenato, così come non vi è alcuna evidenza di invidie primarie.

Si può cogliere, nella Klein, una contrapposizione, che però solo successivamente sarà realmente sviluppata da altri autori, tra teorie pulsionali e teorie oggettuali: come però abbiamo già detto, a noi pare che questa contrapposizione non sia così reale. Sebbene infatti la Klein rifiuti il concetto di narcisismo primario, in realtà le relazioni oggettuali del neonato sono dominate da quello che Freud aveva definito sadismo originario (che al narcisismo primario è intimamente collegato), come espressione mentale dell'istinto di morte. Una contrapposizione quindi tra pulsioni e relazioni oggettuali più apparente che reale.
La concezione freudiana delle pulsioni e degli oggetti ha sollevato obiezioni che possono essere riassunte utilizzando la distinzione proposta da F a i r b a i n: la libido è alla ricerca del piacere oppure, primariamente, dell'oggetto in quanto tale? Il termine "relazione oggettuale" compare raramente in Freud, e certamente il relativo concetto non appartiene alla sua metapsicologia. A partire dagli anni '30 tuttavia tale concetto ha assunto una sempre maggiore importanza; per Balint, ad esempio, tutti i termini della psicoanalisi, ad eccezione appunto del termini "oggetto" e "relazione oggettuale", si riferiscono all'individuo da solo (per usare l'espressione introdotta da R i c k m a n ad una "one-body psychology").
Analogamente, S p i t z ha notato come Freud abbia affrontato il problema dell'oggetto libidico dal solo punto di vista del soggetto.

La maggiore attenzione posta al concetto di "relazione oggettuale" nel senso di Fairbain comporta un cambiamento radicale di prospettiva sia in campo teorico che clinico. Il cambiamento riguarda diversi aspetti: nella concezione di Freud, l'oggetto non è caratterizzato da altra condizione se non quella di procurare il soddisfacimento. Inoltre, solo un preciso oggetto, per ogni individuo, od un suo sostituto, può procurare tale soddisfacimento: Freud infatti sostiene che la scoperta di un oggetto è sempre una riscoperta. Nelle concezioni successive a Freud viene ridimensionata l'importanza delle pulsioni e l'attenzione viene posta maggiormente sulle qualità dell'oggetto. I concetti di fonte pulsionale e meta (ovvero soddisfacimento) perdono im­portanza, mentre ne acquista il concetto di relazione. La libido dunque ricer­ca in primis la relazione, e non semplicemente la soddisfazione come de-tensione pulsionale. Inoltre, risulta modificato anche lo "status" dell'oggetto, nel senso di una mancanza di unicità individuale: la relazione oggettuale si presenta infine come un concetto "olistico" e differenziatore nello sviluppo della personalità.

La teoria pulsionale di Freud, la preminenza del soddisfacimento pulsionale ed il concetto di "narcisismo primario" sono stati profondamente modificati dalla successiva ricerca psicoanalitica; il contributo della psicologia dell'io, formulata da H a r t m a n n, è inerente l'affermazione che determinate funzioni dell'io si sviluppano in maniera autonoma rispetto al soddisfacimento pulsionale, ed è evidente che tali formulazioni si sono sviluppate in conseguenza di inadeguatezze implicite nella teoria pulsionale freudiana di cui possono essere considerate tentativi di correzione. La psicologia dell'io cioè propone una alternativa all'ipotesi freudiana che il pensiero si sviluppi poiché il tentativo di "allucinazione del seno" (1899) fallisce, implicitamente affermando che qualora l'allucinare il seno riuscisse, il pensiero e l'io non potrebbero svilupparsi; inoltre le formulazioni di Hartmann si pongono come tentativo di correzione delle incompatibilità esistenti tra la specifica teoria freudiana e la realtà dei processi maturativi e come tentativo quindi di conciliazione tra la teoria psicoanalitica e la realtà biologica e fisiologica che la teoria pulsionale freudiana contraddiceva.

La teoria delle relazioni oggettuali, nata allo scopo di affermare l'autonomia delle relazioni d'oggetto rispetto alle pulsioni, si è spinta sino al rifiuto pressoché totale della teoria pulsionale stessa. Se la psicologia dell'io tendeva a mantenere intatta la validità della teoria delle pulsioni, la teoria delle relazioni oggettuali sostituiva il primato pulsionale con la tendenza alla ricerca dell'oggetto.
È, almeno inizialmente, nella tradizione del pensiero kleiniano che si pone il pensiero di Fairbain (1952) il quale sostituisce in maniera pressoché totale il concetto freudiano di pulsione con quello di "relazione oggettuale", sostenendo che l'indagine psicopatologica deve essere indirizzata allo studio, anziché delle pulsioni, degli oggetti verso i quali esse pulsioni sono dirette. Fairbain sostenne che "la libido ricerca l'oggetto e non il piacere", affermando contemporaneamente che le relazioni oggettuali sono primarie ed autonome e non semplicemente conseguenza secondaria del sod­disfacimento, con ciò contraddicendo l'idea freudiana secondo la quale l'oggetto altro non sarebbe se non il mezzo, lo strumento, attraverso cui la pulsione realizza il proprio scopo.
Gli assunti della teoria di Fairbain possono essere considerati i seguenti:
1) Vi sarebbe una progressiva evoluzione da uno stato di relativa mancanza di differenziazione tra sé ed oggettti verso una condizione di crescente differenziazione.
2) Caratteristica di tale evoluzione sarebbe il senso crescente della propria separatezza.
3) Vi sarebbe una progressiva acquisizione di capacità relazionali sempre più valide basate sul senso di separatezza.
4) Il tempo di tale evoluzione sarebbe quello della vita precoce, il luogo quello della relazione madre-bambino.
5) La psicopatologia si configurerebbe come conseguenza di alterazioni del rapporto tra madre e bambino e quindi di difficoltà nello svolgersi dello sviluppo preedipico piuttosto che edipico.

D'altra parte Balint (1937) già aveva sostenuto che esistono precocemente relazioni oggettuali, ad esempio nel lattante, quindi un "amore oggettuale primario" sarebbe in pratica inconciliabile con la nozione di narcisismo primario: separatezza e rapporto intersoggettivo sono i risultati comuni dell'attuale ricerca psicoanalitica incentrata sull'osservazione del neonato.
T r e v a r t h e n (1977) ha parlato, a proposito della interazione madre-bambino, di "intersoggettività primaria", in evidente contrapposizione al concetto di "narcisismo primario" e con specifici riferimenti alla relazione oggettuale.Emde e Robinson (1979), in una disa­mina di oltre trecento studi, hanno rilevato l'estrema diffusione, derivante dal concetto di narcisismo primario, del pregiudizio relativo al lattante considerato passivo ed indifferente concludendo che l'idea del neonato regolato da pulsioni e scariche è insostenibile.
Brazelton e Als (1979) hanno rilevato risposte affettive già nei primi momenti successivi la nascita.
Già Winnicott (1951) aveva sostenuto che le cure materne rappresentano una componente essenziale senza la quale non potrebbe esistere alcun bambino, prendendo a sua volta radicalmente le distanze dal concetto di narcisismo primario di Freud.
In genere tutti gli autori che hanno privilegiato le teorie delle relazioni oggettuali si sono, esplicitamente o meno, opposti al concetto freudiano di narcisismo primario ed a quello del primato pulsionale.
Parlando di relazioni oggettuali come modello mentale diverso rispetto a quello pulsionale è opportuno brevemente parlare della teoria di Winnicott relativa alla "preoccupazione materna primaria". Per Winnicott l'aspetto relazionale è fondamentale: Winnicott ritenne che nel neonato già potesse esi­stere una vita psichica, affermando contemporaneamente però che il neonato non esiste se non in relazione ad una madre che se ne prende cura. Il funzionamento psichico si struttura su quello che Winnicott chiama sé, istanza psichica preliminare alla costituzione dell'io: con il termine sé Winnicott indica il senso di continuità garantito dalle capacità di adattamento della madre verso il bambino. Questa consente al neonato l'illusione che il seno sia parte di lui: "... la madre pone il seno laddove il bambino è pronto a crearlo, e nel momento giusto". (1964).
L'illusione permette al bambino di esprimere una creatività primaria personale e la madre favorirà poi, progressivamente, una graduale disillusione consentendo la individuazione del bambino. Lo stato definitivo come "preoccupazione materna primaria" è quello in cui la madre sviluppa una sorprendente capacità di identificarsi con il bambino, fatto che le permette di prendersene adeguatamente cura. Prendersi cura assume per Winnicott il significato di abbracciare, contenere, ed il contenimento delle braccia materne sostituisce in qualche modo il contenimento della parete uterina. Il contenimento ha la funzione di lo ausiliario che consente lo sviluppo adeguato del rudimentale lo del bambino. I concetti di illusione - sostegno nella rela­zione materna conducono alla relazione oggettuale, modificazione legata al passaggio dalla fusione alla separazione.
B i o n (1963) ha accantonato totalmente il concetto di pulsione di morte attribuendo la priorità dello sviluppo emozionale del bambino al concetto che ha definito di "reverie materna", concetto analogo a quello, già espresso da Winnicott, di "madre sufficientemente buona". Bion ritorna in qualche modo alla antica contrapposizione tra principio di piacere (che definisce desiderio) e principio di realtà, laddove il principio di realtà è rappresentato, questa volta, dalla madre che può essere, o meno, capace di adeguata "reverie". Vi è dunque, in Bion, un prioritario interesse per le qualità dell'oggetto, interesse però che pare stemperarsi intensamente quando afferma che ciò che vi è di centrale, nel destino umano, è la capacità del bambino di far fronte alla realtà ed alle frustrazioni, e che tale capacità è innata, ereditata geneticamente. Atti comunicativi hanno luogo sin dalla nascita: l'importanza di questi, derivata dalle conoscenze del rapporto madre-bambino, è al centro dell'attenzione di tutte le teorie dello sviluppo emozionale incentrate sulle relazioni oggettuali. Emde (1981), sottolineando come il bambino, sin dal suo esordio nella vita, sia pronto all'interazione sociale e partecipe degli scambi con coloro i quali lo accudisco­no, ha criticato anche il concetto di "relazione oggettuale" come inadeguato a descrivere le capacità interazionali del bambino ed anche a causa della gamma di significati cui la dizione "relazione oggettuale" può condurre (il riferimento agli oggetti kleiniani appare evidente).

Le problematiche relative alla reciprocità affettiva evidenziano anche i limiti della teoria della "libido" di Freud: S p i t z (1976) ha sottolineato come Freud abbia considerato l'oggetto libidico quasi esclusivamente dal punto di vista dei desideri inconsci del bambino, e non sullo sfondo della re­lazione reciproca madre-bambino; T h ó m a e K a chele (1985), a loro volta, sottolineano come il radicamento di questa stessa tradizione abbia consentito a Kohut di derivare l'oggetto-sé dallo stesso, ipotetico, esperire narcisistico del bambino. Me 1 t z -e r (1992) ha affermato che l'evoluzione psicopatologica nell'essere umano è secondaria, più che alla esistenza di un istinto di morte, al fallimento relazionale, la cui conseguenza è quella di condurre verso una condizione narcisistica.

Non vi è dubbio chele idee espresse dai teorici delle "relazioni oggettuali" abbiano rappresentato un notevole progresso rispetto alle iniziali concettualizzazioni di Freud per il quale la pulsione di morte, oltre ad esprimere la tendenza istintuale conservatrice degli esseri viventi, esprime anche, dal punto di vista pulsionale vero e proprio, la condizione di narcisismo primario che può essere considerata alla base di tutto il successivo sviluppo della teoria psicoanalitica. Se le formulazioni espresse dalla psicologia dell'io potevano essere con facilità integrate nella teoria pulsionale freudiana, considerate un completamento di questa, la teoria della relazioni oggettuali può invece essere ragionevolmente ritenuta un cambiamento di paradigma della teoria psicoanalitica. Nel senso che il primato etiologico dello sviluppo umano spetta non alle vicissitudini del soddisfacimento pulsionale ma alla qualità affettiva delle originarie relazioni oggettuali. È cioè la qualità dell'oggetto ad evere significatività primaria.
In base alla teoria delle relazioni oggettuali, uno stabile e definito senso di sé può essere ottenuto solo ed esclusivamente nel contesto di una relazione oggettuale valida e sostenente. Un mondo psichico privo di relazioni oggettuali sarebbe, in questo senso, di per sé schizoide, ed un adeguato senso di sé sarebbe possibile solo nell'ambito di una relazione d'oggetto soddisfacente. Sottolineare cioè l'importanza di relazioni oggettuali vere (rispetto a quelle della Klein, nelle quali il narcisismo primario esce dalla porta per subito rientrare, prepotentemente, dalla finestra) è sen'altro fondamentale ai fini della comprensione dello sviluppo umano: tuttavia G r e e n (1991) ha sottolineato il rischio di ipervalorizzare l'oggetto e di svilire, conseguentemente, il ruolo svolto dalle pulsioni: l'oggetto infatti può essere considerato, in base alle sue qualità, il rivelatore dell'esistenza delle pulsioni. Analogamente M a n c i a (1992) ha sostenuto che la teoria delle relazioni oggettuali "... non può reggersi da sola, in quanto l'oggetto, senza la pulsione, sembra privo di vita".
Pur introducendo dunque, con tutto ciò, un indispensabile ampliamento della teoria pulsionale sottolineando l'importanza delle relazioni oggettuali, rimane comunque la necessità che teoria pulsionale e teoria delle relazioni oggettuali vengano integrate.
Possiamo ritenere infatti che la psicopatologia psicoanalitica incentrata sulla teoria del conflitto debba partire dal presupposto che non possono esistere disturbi nelle relazioni oggettuali in modo indipendente rispetto a conflitti pulsionali.
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