domenica 30 settembre 2018

Gli attacchi di panico secondo Carofiglio


" ... Fino ad una mattina di giugno.
Ero in ascensore, di ritorno dal tribunale e salivo al mio studio, all'ottavo piano quando, d'improvviso e senza una ragione, fui assalito dal panico.
Uscito dall'ascensore, rimasi sul pianerottolo per un tempo indefinito, col respiro affannoso, sudori freddi, nausea, lo sguardo fisso su un estintore. E una paura terribile.
"Sta bene avvocato?". Il tono del signor Strisciuglio, impiegato delle finanze in pensione, inquilino dell'altro appartamento al piano, era un po' perplesso, un po' preoccupato.
"Sto bene, grazie. Sono completamente fuori di testa, ma non credo che questo sia un problema. E lei come sta?".
Non è vero. Dissi che avevo avuto un leggero capogiro ma che adesso era tutto a posto, grazie, buongiorno.
Naturalmente non era tutto a posto, come avrei capito fin troppo bene nei giorni e nei mesi successivi.
Prima di tutto non sapendo cosa mi fosse capitato, quella mattina in ascensore, cominciai ad essere ossessionato dall'idea che potesse succedere di nuovo.
Così smisi di prendere l'ascensore. Fu una scelta stupida, che contribuì ad aggravare le cose.
Dopo qualche giorno, invece di stare meglio cominciai a temere che il panico potesse assalirmi dappertutto e in qualsiasi momento.
Quando mi fui preoccupato abbastanza riuscii a farmi venire un nuovo attacco, per strada questa volta. Fu meno violento del primo ma gli effetti, nei giorni successivi, furono ancora più devastanti.
Per almeno un mese vissi nel terrore costante di essere colpito di nuovo dal panico. È buffo, a ripensarci adesso. Vivevo nella paura di essere assalito dalla paura.
Pensavo che quando mi fosse ricapitato, sarei potuto impazzire ed eventualmente anche morire. Morire pazzo.

...

Lo psichiatra era alto, massiccio, imponente, con la barba e mani come badili. Me lo immaginai mentre immobilizzava a ceffoni un pazzo scatenato e gli metteva la camicia di forza.
Fu abbastanza gentile, considerate la barba e la mole. Mi fece raccontare tutto e faceva sì con la testa. Questo mi parve rassicurante. Poi pensai che anch'io facevo sì con la testa, quando i clienti parlavano e mi sentii meno rassicurato.
Comunque disse che soffrivo di una forma particolare di disturbo dell'adattamento. La separazione aveva funzionato nella mia psiche come una bomba ad orologeria e a un certo punto aveva prodotto un effetto di rottura.
Anzi una serie di rotture a catena. Avevo fatto male a trascurare il problema per tanti mesi. C'era stata una degenerazione del disturbo di adattamento, che rischiava di trasformarsi in una depressione di media severità. Queste situazioni non andavano sottovalutate. Non dovevo preoccuparmi però perché il fatto di essere andato dallo psichiatra costituiva un segno positivo di autoconsapevolezza e una premessa per guarire. Certo era necessario un trattamento farmacologico, ma insomma nel giro di qualche mese la situazione sarebbe migliorata decisamente.
Pausa e sguardo intenso. Doveva far parte della terapia.
Poi si mise a scrivere, riempiendo una pagina di ricettario con nomi di ansiolitici e antidepressivi.
Dovevo prendere quella roba per due mesi. Dovevo cercare di distrarmi. Dovevo evitare di rimuginare su me stesso. Dovevo cercare di cogliere gli aspetti positivi delle cose evitando di pensare che la mia situazione fosse senza sbocco. Dovevo dargli trecentomila, di ricevuta non parliamone e ci vediamo di qui a due mesi per il controllo.
Salutandomi, sulla porta, mi sconsigliò di leggere i foglietti illustrativi dei farmaci. Era un vero conoscitore della psiche umana.
Cercai una farmacia lontana dal centro, per non fare incontri. Volevo evitare che davanti a qualche mio cliente, o a qualche mio collega il farmacista gridasse al commesso nel retro frasi del tipo: "controlla nell'armadio degli psicofarmaci se abbiamo il valium psichiatrico extraforte per questo signore".
Dopo aver girato un po' in macchina scelsi una farmacia del rione Japigia, ai confini della città. La farmacista era una ragazza ossuta, dall'aria poco socievole e le diedi la ricetta senza guardarla in faccia. Mi sentivo a mio agio come un seminarista in un porno shop.
La farmacista ossuta stava già facendo il conto quando recitai la parte che avevo preparato: "Giacché ci sono prendo anche una cosa per me. Ha della vitamina C effervescente?".
Mi guardò un secondo, senza dire niente. Conosceva il copione. Poi mi diede la vitamina C, assieme a tutto il resto. Pagai e scappai come un ladro.
Arrivato a casa, scartai, aprii le scatole e lessi i foglietti illustrativi dei medicinali. Erano tutti interessanti, ma la mia attenzione fu attratta in modo ipnotico dagli effetti collaterali dell'antidepressivo: il Trittico a base di trazodone.
Si cominciava da semplici vertigini per passare rapidamente a secchezza delle fauci, visione confusa, stipsi, ritenzione urinaria, tremori e alterazione della libido.
Pensai che per l'alterazione della libido avevo provveduto da solo e seguitai a leggere. Così scoprii che un numero ridotto di uomini che assumono trazodone sviluppa erezioni prolungate e dolorose, cioè il cosiddetto priapismo.
Questo problema poteva anche richiedere un intervento chirurgico di emergenza, il quale a sua volta poteva determinare una menomazione sessuale permanente.
Il finale però era rassicurante: il rischio di overdose mortali per assunzione di trazodone era fortunatamente più basso rispetto a quello connesso all'assunzione di antidepressivi triciclici.
Finito di leggere, presi a meditare.
Che si fa nel caso di una erezione prolungata e dolorosa? Si va in ospedale tenendoselo in mano? Si mettono delle mutande molto comode? Cosa si dice al dottore? Qual è la menomazione sessuale permanente?
E ancora: cosa ci vuole per una overdose mortale di trazodone? Bastano due pillole? Bisogna farsi l'intera scatola?
Non trovai risposte a quelle domande ma il Trittico finì nel cesso insieme a tutti gli altri medicinali che mi aveva prescritto il mio psichiatra. Il mio ex psichiatra.
Svuotai coscienziosamente tutte le confezioni e tirai la catena. Poi buttai nella spazzatura le scatole, i flaconi, le fiale e i foglietti illustrativi...


Testimone inconsapevole

Carofiglio Gianrico
2004, 316 p., brossura, 10 ed. 


Editore Sellerio Editore Palermo  (collana La memoria)


francesco giubbolini psichiatra e psicoterapeuta siena- Leggi anche nel sito la pagina sul Disturbo da Attacchi di Panico

Nessun commento:

Posta un commento